RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

LA DONNA CHE OSÒ AMARE SÉ STESSA, di Valeria Palumbo. Commento critico di Annarosa Tonin

[Tempo di Lettura: 8 minuti]
Pierre-Louis Pierson, Ritratto della Contessa Virginia Oldoini di Castiglione, 1863 


Voglio poter andare nel mondo o no senza avervi la tremarella continua.
Virginia Oldoini al padre, 1859

 

«Quello che oggi interessa di più della contessa non è ciò che ha fatto. Ma ciò che è stata. E come i suoi atteggiamenti, le sue scelte, il suo stesso carattere abbiano, molto più di quanto crediamo, influenzato i suoi contemporanei e i posteri. Questo a prescindere dalla sua “fortuna”, ossia dalla narrazione storica o leggendaria che di lei è stata fatta».

Michele Gordigiani, La Contessa di Castiglione, 1862

Valeria Palumbo, autrice del libro LA DONNA CHE OSÒ AMARE SÉ STESSA. Indagine sulla contessa di Castiglione (Neri Pozza), esprime così gli intenti di una ricerca e uno studio necessari a scardinare in primo luogo il racconto del Risorgimento come «luminoso cammino segnato solo da eroiche morti virili», essendo stato anche  «contraddittorio processo fatto di intrighi, passi falsi, compromessi e tutt’altro che nobili ideali».
Come si è mossa all’interno di una bibliografia eterogenea e numerosi documenti? Il sottotitolo parla chiaro. Il lettore, infatti, partecipa a una indagine, una «investigazione oltre il luogo comune». Valeria Palumbo si è recata nei luoghi di Virginia Oldoini: Firenze, La Spezia, Torino, Parigi, ha compiuto ricerche, fra gli altri, all’Archivio di Stato di Torino, la Fondazione Cavour di Santena, il Centro Studi Costantino Nigra di Castellamonte, il Cimitero Munumentale di Torino e Milano.

L’autrice ha inteso scardinare punto per punto L’equivoco dello scandalo, così si intitola il capitolo introduttivo, ricostruendo con ricchezza di dettagli la geografia delle relazioni della contessa e affiancando in questo articolato percorso numerosi excursus a cui si farà cenno, per raccontare un’altra storia, da troppo tempo parziale, viziata dalla retorica e centrata soltanto sul ruolo di sedurre Napoleone III per la causa italiana, salvo poi essere additata come pietra dello scandalo, appunto.

Franz Xaver Winterhalter, Ritratto di Napoleone III, Roma, Museo Napoleonico

Il fatto di non possedere il diario scritto in francese e in linguaggio cifrato con inchiostro violetto, né parte delle lettere di Virginia, bruciate a Parigi dopo la sua morte, consente di disporre di una «biografia indiziaria», basata su altre fonti e documenti, su ciò che è rimasto consultabile della dispersa, sterminata collezione di documenti della contessa.
Nel tempo in cui è vissuta e dopo non c’è stato «interesse agli scritti di Virginia» afferma l’autrice, ma «alle lettere dei suoi corrispondenti». Pertanto, l’ampiezza delle relazioni e degli interessi è solo intuibile.

Virginia Oldoini in giovane età (Wikipedia)

Valeria Palumbo parte dall’infanzia di Virginia Oldoini, riassumendo gli indizi sulla reale paternità. Colui che l’ha riconosciuta, il marchese Filippo Oldoini, è stato un diplomatico dal 1848 al 1888. Le lettere politiche alla moglie Isabella Lamporecchi e a Virginia sono una fonte importante per ricostruire il ruolo delle donne altolocate in famiglia e nella società.
Esse «esercitano un reale ruolo politico, pur escluse da quasi tutte le cariche, sono consigliere ascoltate, depositarie di segreti importanti e tessitrici di relazioni decisive».

Francesco Hayez, Ritratto della famiglia Borri Stampa, 1822, olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera

Il rapporto fra Virginia e Isabella è stato improntato all’esibizione della bellezza fin da quando la bambina ha sei anni. Nei salotti della Firenze granducale, Isabella si presentava come «donna di polso, abile e intelligente e molto centrata sui suoi obiettivi», che «controllava le ambizioni del marito e le commisurava alle effettive possibilità di lui».
Quella tra Filippo e Isabella è stata «un’alleanza politico-economica» fra due persone che si stimavano senza amarsi. «Virginia apparterrà a un’altra epoca, desidererà lasciare da sé un’impronta nella Storia, coltivare da sé la sua ambizione, non per interposta persona».
Indicativo da questo punto di vista il suo atteggiamento nei confronti del matrimonio. Virginia Oldoini e Francesco Verasis di Castiglione si conoscono quando lei ha sedici anni e lui ventisette. Lei esprime la sua contrarietà al matrimonio e Francesco sarà sempre furibondo per l’insofferenza della moglie nel non volersi piegare all’obbedienza.

Ferdinando Cavalleri, Ritratto di Maria Teresa d’Asburgo-Lorena con i figli Vittorio Emanuele e Ferdinando, 1832, Castello di Racconigi

Nel 1854, giunti a Torino, comincia un altro circo, «in cui viene esibita e si esibisce. A tutti sarà lecito il cinismo, al marito, al padre, alla madre, a tutti tranne che a lei, a cui sarà rimproverato di tutto».
Alla corte dei Savoia Virginia trarrà due lezioni importanti: conoscerà il vero Vittorio Emanuele II, «infedele e brutale (…) campione nostrano del maschio rapace», che solo ora le biografie raccontano per quello che è stato, «fuori dalla retorica dei sentimenti nobili e spassionati». La seconda lezione sarà conoscere la regina Maria Adelaide, figura raccontata solo afflitta e morente, ma «che sapeva tutto» e morirà di parto, distrutta da otto gravidanze. Un destino che Virginia osserverà, «concludendo che desidera altro», prima di tutto non avere altri figli dopo Giorgio Verasis.

Benoist Hermogeste Molin, Ritratto di Maria Adelaide d’Austria, 1848

A Torino entra nella disinvolta rete diplomatica parallela di Cavour. La sua missione sarà sedurre «con discrezione» Napoleone III, uomo «dal volto coperto di rughe, la pessima cera, appesantito e claudicante».
«Non ci sono documenti diretti di ciò che avvenne fra Napoleone e Virginia», afferma Valeria Palumbo.
Nella lettera del 22 febbraio 1856 a Luigi Cibrario, ministro degli Esteri del Piemonte, Cavour informa che, nel caso la contessa fosse riuscita nella missione, lui avrebbe richiesto pel suo padre il posto di segretario a San Pietroburgo e così accadrà.
La concezione cavouriana del rapporto fra politica e diplomazia è quella del “surfista”, «abilissimo a sfruttare le situazioni e adattarsi alle circostanze capacità di volgere a suo favore le situazioni sfavorevoli».

Antonio Ciseri, Ritratto di Camillo Benso conte di Cavour, seconda metà del XIX secolo

Virginia arriverà a Parigi per condurre Napoleone alla causa italiana e, allo stesso tempo, Costantino Nigra dovrà ammorbidire l’Imperatrice Eugenia, dai sentimenti anti-italiani, diventandone buon amico. Costantino e Virginia stabiliranno un legame molto forte, testimoniato da numerose lettere. Nel rapporto tra spionaggio e diplomazia-ombra, bellezza, intelligenza e disinvoltura funzioneranno sia per Virginia che per l’ambasciatore, «ma nessuno accennerà al ruolo che l’avvenenza avrà per Nigra» sottolinea Valeria Palumbo.
Negli anni seguenti per Virginia la bellezza sarà una discriminante e per una donna che aveva aspirazioni politiche come lei, «la mancanza di ascolto e potere causerà la narrazione parziale della realtà storica. Nigra non avrà successo solo per la sua fedeltà a Cavour», chiosa l’autrice.

Carlo Pellegrini, in arte Ape, Caricatura del conte Nigra, 6 marzo 1886 (Wikipedia)

Uno dei punti chiave del libro è quando il lettore è condotto a chiedersi se l’azione della contessa e dell’ambasciatore sono state davvero utili alla tortuosa via dell’Unità.
Nel 1856 Virginia incontra per la prima volta Napoleone III, l’anno successivo sarà allontanata, dopo l’attentato all’Imperatore, nel 1858 sarà presente a Plombiéres. Dopo la seconda guerra d’Indipendenza, si ritirerà a Passy per ricomparire a Parigi nel 1863. Fino  al 1867 sarà in perenne movimento. Negli anni della maturità, dal 1867 al 1871, il suo rapporto con la politica la vedrà in contatto con la regina di Prussia, Otto von Bismarck e Adolphe Thiers, primo Presidente della Terza Repubblica.
«Virginia non vede l’evoluzione dell’Impero in monarchia liberale, intuisce in Thiers il salvatore della Francia e gioca un ruolo fondamentale per permettergli la negoziazione di una pace per la Francia», dopo il conflitto con la Prussia.

Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar, Adolphe Thiers, 1870 ca.

Altre donne saranno coinvolte nella diplomazia parallela durante il processo unitario. A loro Valeria Palumbo dedica il capitolo L’altra metà del Risorgimento. Ripercorrendo le strade milanesi in cui si è svolta la stagione dall’Illuminismo al liberalismo, costellata dall’attività dei salotti aristocratici e borghesi, l’autrice ricostruisce le vicende biografiche di Julija Saymolov, Clara Maffei, Teresa Casati Confalonieri, Giovannina Strazza Lucca, Adelaide Ristori e Julie Clary Bonaparte che, come Virginia, tiene diari accurati e una fitta corrispondenza e comprenderà gli effetti nefasti della guerra franco-prussiana.

Jean-Baptiste Wicar, Ritratto di Julie Clary Bonaparte con le figlie Zénaïde e Charlotte, 1809, Reggia di Caserta

Virginia, però, non terrà mai un suo salotto, perché «nasconde a fatica la sua insofferenza verso il prossimo e non possiede una formazione culturale sufficiente». Tuttavia, la peculiarità della contessa sarà voler «sempre restare vicina al potere e agli uomini che manipola».
Virginia Oldoini, nel pieno della maturità è, dunque, «moglie separata, spia al servizio del re e di più privati interessi economici, donna libera nei suoi amori», si muoverà in un «circo di uomini veri predatori che potevano pretendere di tutto», appassionata di politica, pioniera della moda, della fotografia, dell’arte di auto-rappresentarsi, poliglotta e viaggiatrice, «narratrice acuta e fiera estimatrice delle sue doti». L’autonomia e l’insofferenza alle regole si esprimeranno, però, rispecchiando la condizione sociale, le norme e le convinzioni della sua classe sociale.

Francesco Hayez, Ritratto della contessa Clara Maffei, 1845 ca., Riva del Garda, Museo dell’Alto Garda

Virginia sarà sempre consapevole del proprio potere, ma quanto è stata simile alle Italiane del suo tempo? Perché «nessuno ha colto la sua rabbia di non poter agire liberamente», che acutizzerà «il suo disagio esistenziale?» si chiede Valeria Palumbo, nel condurre il lettore attraverso un altro excursus sugli esempi di esercizio della libertà personale, tra i quali Antonietta de Pace, militante per l’Unità e l’istruzione femminile e, all’opposto, la poetessa siciliana Mariannina Coffa, innamorata del maestro di musica e costretta a sposare un ottuso proprietario terriero.

Mariannina Coffa, ritratto (Wikipedia)

Le riviste Cordelia e Corriere delle dame ospitano dibattiti serrati in merito alla condizione di confinamento delle donne. Ida Baccini, che dirige Cordelia, e la scrittrice Neera insistono sull’impossibilità delle donne di accedere a un livello di istruzione superiore, di amministrare i loro beni, di agire liberamente e compiere delle scelte. Maria Antonietta Torriani, alias Marchesa Colombi, sottolinea il dovere delle donne di uscire di casa per rivendicare i propri diritti. Schiacciate da regole sociali, esprimono «il loro grido di dolore» attraverso la malattia.
A Virginia sarà associata la patente di “folle”, sulla base della scrittura concitata, del non non voler vedere nessuno, dell’uscire di casa da sola al buio, del temere di morire in povertà, con la «sensazione che la sua bellezza e intelligenza siano state sprecate» e che, dopo tanto girovagare, Parigi sia l’unico «luogo in cui poter vivere».

Giovanni Boldini, Ritratto di Robert de Montesquiou, 1897, Parigi, Musée d’Orsay

Qual è stata, dunque, la sua dimensione storica, non solo limitatamente al Risorgimento italiano?
La chiave per capirlo è La Divine Comtesse: Étude d’après Madame de Castiglione di Robert de Montesquiou (1913), che comprende la concezione molto precoce dell’estetica decadente, espressa dalla contessa, che non si veste, ma dispone l’insieme del suo aspetto come avrebbe fatto un dandy, non per esaltare gli abiti ma «per raccontare sé stessa e differenziarsi dagli altri».
Ametista e lavanda, lilla, indaco, malva e violetto sono stati i suoi colori prediletti, una «Lady Gaga ante-litteram», che «più che vestirsi interpreta il suo ruolo, mette in scena il suo personaggio» afferma Valeria Palumbo.
L’invenzione dell’auto-rappresentazione è visibile nei 450 scatti che fra il 1855 e il 1895 la ritraggono, a volte mascherata, nello studio di Pierre-Louis Pierson, non lontano dalla casa in rue Cambon, in cui la contessa morirà, e in quello di Edouard Delessert. In Italia si affiderà a Luigi Montaboni, fotografo dei Savoia.

Pierre-Louis Pierson, Scherzo di follia, 1863-1866

«Guardare in macchina, allestire il fondo come scenario teatrale, rappresentare il proprio personaggio, giocare con le maschere che si vorrebbe assumere o con quelle che gli altri ci attribuiscono». Questa sarà la sua estetica.
Sottovesti, lenzuola di seta, giarrettiere, l’abbinamento blu e nero per la cena, l’inserire nastri, piume e fiori, liberarsi del corsetto. Questa sarà la sua rivoluzione nella moda.
Virginia Oldoini rappresenterà un bivio: il gioco teatrale da lei inaugurato si farà opera d’arte con Luisa Casati, oppure contribuirà alla nascita del divismo delle attrici Ristori, Duse e Bertini, per esempio.

Giovanni Boldini, Ritratto di Adelaide Ristori, 1862-1870, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti

Il tentativo di Valeria Palumbo di «raccontare un’altra storia più che un’altra donna» è pienamente riuscito.
Mai nominata né ambasciatrice né senatrice, pur avendo servito l’Italia come spia, prima e dopo l’Unità, Virginia Oldoini riterrà sempre offesa la sua dignità di cittadina. Solo una biografia autentica avrebbe reso giustizia al suo ruolo nella storia d’Italia. L’unica testimonianza che ci è stata lasciata dalla contessa è l’intervista a L’Evénement, datata 22 aprile 1892.
Accogliendo il giornalista in un salone tutto nero, dai mobili ai tappeti al soffitto con bordature nere, vestita di nero, raccontando di sé ha messo in scena il suo tramonto, stravolgendo «la concezione dell’invecchiamento come onta della decadenza».
Una coraggiosa scenografia degna di un bell’ingegno.

 

Immagine di copertina
Édouard-Louis Dubufe, Il Congresso di Parigi, Versailles, Musée de l’Histoire de France

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Autrice: Valeria Palumbo
Titolo: LA DONNA CHE OSÒ AMARE SÉ STESSA. Indagine sulla contessa di Castiglione
Casa Editrice: Neri Pozza
Collana: I Colibrì
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 176 – 18 euro

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Valeria Palumbo, giornalista, storica delle donne e autrice teatrale, è caporedattore del settimanale Oggi. Corrispondente della Radio della Svizzera Italiana, è docente a contratto alla Statale di Milano. Collabora con istituzioni, enti di ricerca e associazioni. Tra i suoi libri Prestami il volto (2003), Le figlie di Lilith (2008), Piuttosto m’affogherei. Storia vertiginosa delle zitelle (2018), Non per me sola (2020).

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Annarosa Maria Tonin è nata a Vittorio Veneto nel 1969. Laureata in Lettere moderne all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sugli inviati veneti alla corte di Rodolfo II d’Asburgo, è stata docente di Materie Letterarie e Storia dell’Arte nelle scuole medie e superiori. Curatrice di eventi culturali, collabora con la rivista trimestrale Digressioni e la libreria Tralerighe di Conegliano. Autrice di racconti, romanzi e saggi, ha pubblicato per Digressioni editore la raccolta di saggi “L’uomo nell’ombra. Storie d’arte, potere e società” (2019) e il romanzo “Anatolia” (2020).

 

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