RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Natalya Ogar

Le foreste dei meli selvatici del Tien Shan – Conversazione con Natalya Ogar

[Tempo di Lettura: 21 minuti]
Esemplare di Malus sieversii di duecento anni di età ricoperto da un luppolo, a 1.800 metri di altitudine. Foresta di alberi da frutto, Djungarsky (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).
Esemplare di Malus sieversii di duecento anni di età ricoperto da un luppolo, a 1.800 metri di altitudine. Foresta di alberi da frutto, Djungarsky (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).

 

Introduzione

Quest’anno il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, promosso dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso, è stato dedicato alle Foreste dei meli selvatici del Tien Shan, nel Kazakistan, mentre il Sigillo in ottone brunito disegnato da Carlo Scarpa è stato affidato alla studiosa kazaka Natalya Ogar che lavora da decenni nel campo della ricerca accademica internazionale, dedicandosi soprattutto allo studio, alla ricerca e alla difesa delle antiche foreste dei meli selvatici del Kazakistan, un immenso e importantissimo patrimonio naturale da salvaguardare e far conoscere.

Natalya-Ogar
Natalya Ogar

La rivista Finnegans ha voluto partecipare all’importante lavoro divulgativo della Fondazione Benetton Studi Ricerche, ospitando la conversazione che il direttore della rivista ha avuto qualche settimana fa con la prof.ssa Natalya Ogar, che ringraziamo per la disponibilità umana e intellettuale dimostrata in occasione degli incontri trevigiani e la presentazione del Dossier.

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Il presidente della Fondazione Benetton Studi Ricerche Luciano Benetton consegna il Sigillo in ottone brunito a Natalya Ogar

Un ringraziamento particolare alla traduttrice Iryna Borusovska e a Patrizia Boschiero della Fondazione Benetton Studi Ricerche che ha coordinato il lavoro.

 

Le foreste dei meli selvatici di Thien Shan

Conversazione con Natalya Ogar* di Diego Lorenzi

 

Дикие яблоневые леса Тянь Шаня

Интервью с Натальей Огарь* Диего Лоренци

 

La Fondazione Benetton Studi Ricerche Le ha conferito il prestigioso sigillo del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2016 per gli studi e l’impegno scientifico profusi nei confronti delle Foreste dei meli selvatici del Tien Shan, nel Kazakistan, che costituiscono un ricchissimo patrimonio genetico e naturale ancora poco conosciuto e divulgato.

Grazie al Premio, alle giornate di studio, ai seminari scientifici curati dalla Fondazione Benetton, molti sono venuti a conoscenza di questa affascinante realtà naturalistica, che sarà oggetto mi auguro di studi scientifici sempre più intensi e importanti.

Com’è maturata in origine la sua scelta di dedicare i suoi studi, le ricerche e le spedizioni scientifiche nelle foreste del Tien Shan?

La mia specializzazione è geobotanica, mentre il mio principale interesse scientifico è rappresentato dallo studio delle leggi della struttura spaziale e delle dinamiche temporali della vegetazione in generale, e dalla mappatura della vegetazione e degli ecosistemi naturali. In questo modo, il mio interesse non riguarda esclusivamente le montagne del Tien Shan ma include anche altre catene montuose e pianure con diverse varietà di vegetazione. I principali obiettivi delle mie ricerche sono la comprensione dei legami della vegetazione con gli altri componenti della natura: la topografia, il suolo, il regime delle acque, il clima, etc. Nella scienza tutto questo insieme viene chiamato approccio paesaggistico biogeocenotico o, come si usa dire negli ultimi vent’anni, approccio ecosistemico. Faccio parte del gruppo di autori che ha realizzato grandi opere cartografiche come la Mappa della vegetazione in Kazakistan e in Asia Centrale all’interno della zona desertica (1995) e del testo Geografia botanica del Kazakistan e dell’Asia Centrale (2003); della Mappa degli ecosistemi della Mongolia (1995); della Mappa della vegetazione e degli ecosistemi del Kazakistan per l’Atlante nazionale (2007); della Mappa degli ecosistemi dell’Asia Centrale (2009) e di molte altre opere di mappatura a livello regionale. Tali opere sono generalmente collettive, e si basano sui risultati di studi sul campo effettuati su larga scala. Tutte le informazioni sono sistemate in modo da permettere la corretta comprensione e visualizzazione del valore di ogni tipo di vegetazione.

Esemplare di Malus sieversii di quindici anni di età, caratterizzato da una straordinaria abbondanza di frutti, del diametro di circa 6 centimetri. Tarbagatai, nella parte settentrionale del Tien Shan (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).
Esemplare di Malus sieversii di quindici anni di età, caratterizzato da una straordinaria abbondanza di frutti, del diametro di circa 6 centimetri. Tarbagatai, nella parte settentrionale del Tien Shan (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).

Naturalmente conosco da anni le foreste dei meli selvatici del Tien Shan e, lavorando per lungo tempo nello stesso Istituto dell’Accademico A.D. Djangaliev, ho imparato molto su di essi e ho compreso la loro particolare importanza come patrimonio genetico unico, di importanza mondiale. Però, ho cominciato a lavorare in queste foreste seriamente, come specialista, solo nel 2010, quando sono stata contattata da Catherine Peix che mi chiedeva di aiutarla a organizzare delle spedizioni. Me l’ha fatta conoscere – nel 2009, alla presentazione del suo film dedicato al melo del Kazakistan – A.D. Djangaliev quando era già molto malato, e mi ha chiesto di aiutarla. A.D. Djangaliev (1913-2009) era l’unico scienziato che come specialista nel campo di selezione e frutticoltura, ha condotto a partire dal 1946 e lungo l’intero arco della sua vita, uno studio sistematico e completo sui meli selvatici nella parte kazaka del Tien Shan. Lui fu il primo ad avanzare l’ipotesi che proprio la specie aborigena autoctona – il melo di Sievers (Malus sieversii (LDB). M. Roem.) fosse l’antenato dell’assortimento esistente nel mondo dei cultivar delle mele, perché solo quest’albero – tra tutte le specie conosciute di meli selvatici – produce frutti grandi e dolci, con una grande varietà di forme e di sapore. L’idea di studiare i meli selvatici del Tien Shan gli è stata suggerita dal noto scienziato russo, l’Accademico N.I. Vavilov durante una spedizione nelle montagne del Tien Shan vicino ad Almaty (1929), nella quale il giovane Aymak Djangaliev, allora studente della scuola di agronomia, faceva da tuttofare.

Dopo aver studiato tutte le opere di A.D. Djangaliev, e dopo aver visionato i lavori di altri studiosi sul melo selvatico, mi sono resa conto che le foreste dei meli del Tien Shan non sono stati affatto studiati dal punto di vista botanico-geografico ed ecologico, e così ho deciso di colmare questa lacuna. Ormai da sette anni, insieme a Catherine Peix, conduciamo le ricerche in questo e in altri settori nella parte kazaka del Tien Shan. Attualmente, le ricerche sono condotte su base volontaria, con i mezzi economici propri e senza poter contare su alcun progetto o finanziamento. Un aiuto reale ci è offerto solo dalla direzione e dai lavoratori dei parchi e delle riserve naturali nazionali dove sono dislocate queste magnifiche foreste. Ci auguriamo che i nostri risultati, le scoperte di altri scienziati, così come la campagna di ricerche e divulgazione della Fondazione Benetton Studi Ricerche dedicata alla promozione di questo patrimonio naturale, metteranno le basi per l’avvio di un Programma speciale ben articolato o di un Progetto di ricerca scientifica e applicata finalizzati alla conservazione e all’utilizzo sostenibile del patrimonio genetico del melo selvatico del Tien Shan kazako.

 

Il suo è un campo di ricerca alquanto appartato, fuori dai circuiti scientifici più prettamente “commerciali”: l’industria non è interessata a un utilizzo economico dei frutti della sua ricerca. E questo è un bene per la tutela di un patrimonio così importante. Ma il progresso scientifico avanza e con esso anche lo sviluppo tecnologico. Teme un futuro in cui la “tecnica” prevarrà sulla salvaguardia dell’ambiente imponendo uno sfruttamento sempre più massiccio dei grandi parchi e delle riserve naturali? La “mela rossa” del Tien Shan sarà davvero minacciata?

Sì, naturalmente, la minaccia per la conservazione delle foreste dei meli selvatici c’è, e ciò è dovuto a vari motivi. Queste foreste hanno subito danni soprattutto durante il periodo sovietico (1956-1965), quando alcuni scienziati avevano promosso l’idea di abbattere i meli selvatici per creare, al loro posto, dei giardini coltivati, compresa la coltivazione della famosa varietà di mela “Aport”. I migliori agglomerati delle foreste dei meli nelle montagne Zailiyskiy Alatau, che si erano formati nel corso di molte migliaia di anni e rappresentano un sistema naturale di autoriproduzione e autoregolamentazione, sono stati sconsideratamente e completamente sostituiti – su una superficie di oltre 14.000 ettari – da un’agrobiocenosi inferiore (giardini coltivati), con il ciclo di sviluppo breve e fugace. Oggi le conseguenze di questa trasformazione si presentano sotto forma di pendii nudi, ricoperti di erba e di arbusti, con dei singoli vecchi esemplari di meli coltivati che non danno più frutti.

Foresta di Malus sieversii e pino del Tien Shan (Picea schrenkiana). Trans-Ili Alatau, Zailiysky (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).
Foresta di Malus sieversii e pino del Tien Shan (Picea schrenkiana). Trans-Ili Alatau, Zailiysky (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).

Negli ultimi vent’anni le foreste dei meli stanno scomparendo a causa dell’urbanizzazione, in particolare nelle vicinanze delle grandi città, come Almaty. La nostra salvezza, in questo caso, è rappresentata dalla creazione di aree protette con lo status di persone giuridiche: parliamo dei parchi e delle riserve naturali nazionali che comprendono tutte i migliori agglomerati di queste foreste e si trovano in un regime di protezione speciale. Nella loro creazione c’è una gran parte del mio lavoro e di quello dei miei colleghi, in quanto la loro realizzazione non è possibile senza una motivazione scientifica del loro valore. In Kazakistan le foreste occupano vaste aree (da 100.000 a 370.000 ettari), e attualmente stiamo osservando l’effetto positivo della loro protezione: ad esempio, è notevolmente migliorata la loro rigenerazione naturale, anche nei luoghi in cui esse erano state completamente distrutte. Le riserve genetiche del melo selvatico, isolate a suo tempo da A.D. Djangaliev, sono ovunque incluse nelle zone riservate con il rispettivo regime di protezione che ci vieta la conduzione di qualsiasi attività economica. Naturalmente, non ci sono scenari ottimistici per il lungo periodo.

I fattori negativi sono rappresentati dall’inquinamento atmosferico e da quello dell’ambiente; dal contrabbando delle piante ornamentali e coltivate provenienti da altri paesi che contribuiscono alla comparsa di nuove malattie e di parassiti; dall’intensificazione dell’orticoltura nelle zone pedemontane e nelle basse montagne che per i meli selvatici rappresenta la minaccia di erosione genetica; dall’uso di insetticidi e pesticidi che porta all’eliminazione di insetti impollinatori; dalla costante tendenza di riscaldamento globale, etc. Pertanto i parchi naturali e le riserve, nonostante tutte le difficoltà, svolgono un ruolo importante nella conservazione di ecosistemi naturali e di biodiversità, in quanto l’attività economica in essi è molto limitata.

Insieme alle attività ambientali e scientifiche, una delle priorità dei parchi naturali nazionali è rappresentata dallo sviluppo del turismo ecologico. Naturalmente è importante che gli angoli unici della natura, con la loro flora e fauna originali, possano essere visitati da quanti lo desiderano, e in Kazakistan praticamente tutte le migliori unità naturali si trovano sotto protezione. Per svolgere queste attività sul territorio dei parchi, viene identificata una speciale zona turistica e ricreativa, dove passano i percorsi turistici e si costruiscono le infrastrutture previste. Le strategie di sviluppo del turismo nei parchi nazionali non sono ancora sufficientemente elaborate; è necessario inoltre perfezionare il sistema gestionale in generale, con la priorità di protezione della natura e di conservazione della biodiversità. In questa direzione c’è ancora molto da fare studiando anche le migliori pratiche internazionali.

 

Qual è l’approccio fisico e intellettuale che sente più vicino alla sua sensibilità di donna di scienza, lo studio e la ricerca o l’esplorazione naturalistica? O per lei sono un tutt’uno?

Sicuramente è lo studio della natura. La ricerca è solo uno strumento di conoscenza che serve per risolvere problemi specifici di natura scientifica e applicata. La conoscenza della natura è molto più interessante e importante, e prevede la comprensione dei rapporti e delle leggi organizzative di tutto il mondo vivente. Inoltre, rappresenta anche un godimento estetico della bellezza e dell’armonia della natura. In pratica, per quanto mi riguarda uso ambedue gli approcci, tutto dipende dagli obiettivi preposti, e soprattutto dall’oggetto della ricerca. Ad esempio, le sorprendenti ed estremamente variegate foreste dei meli sono un “regno” speciale; e per poter capire le regole del loro funzionamento per più di 45-60 milioni di anni, è necessario studiare e capire molte cose, per poi poter garantire la loro sopravvivenza.

Aymak Djangaliev nell’imponente viale di Malus sieversii del suo conservatorio, nel centro di fito-introduzione del giardino botanico di Almaty, durante le riprese del documentario di Catherine Peix, 2 settembre 2006. Il conservatorio è stato distrutto nel 2012, da un incendio doloso (fotografia tratta dal documentario di Catherine Peix).
Aymak Djangaliev nell’imponente viale di Malus sieversii del suo conservatorio, nel centro di fito-introduzione del giardino botanico di Almaty, durante le riprese del documentario di Catherine Peix, 2 settembre 2006. Il conservatorio è stato distrutto nel 2012, da un incendio doloso (fotografia tratta dal documentario di Catherine Peix).

Una curiosità: Le è mai capitato di svestire i panni di studiosa per indossare… qualcosa di più leggero, di più adatto a un vagabondaggio errante attraverso i boschi del Tien Shan, così, per puro diletto… perdendosi un po’ nel regno della luce e delle ombre, del visibile e dell’invisibile?

Questo è il mio principio di vita, non appena mi immergo nella natura, in qualsiasi luogo, cerco di essere una parte di essa. Soprattutto mi piace andare a piedi, da sola, quando nessuno e nulla mi distrae, e la mia esperienza e le conoscenze mi permettono di vedere e capire quelle caratteristiche che diventano materia della conoscenza, e questo mi dà un enorme piacere. Non importa dove mi trovo, nel letto prosciugato del fondo del lago d’Aral dove sembra di stare su un altro pianeta, o nelle foreste dei meli del Tien Shan, assolutamente esotiche, soprattutto nel periodo della fioritura in massa o della fruttificazione.

Malus sieversii di centotrent'anni, Trans-Ili Alatau, Zailiysky.
Malus sieversii di centotrent’anni, Trans-Ili Alatau, Zailiysky.

Lo scrittore e filosofo americano Ralph Waldo Emerson nel suo saggio Natura ha scritto che, dal punto di vista filosofico, l’Universo è composto di Natura e Anima, e che tutto ciò che è definito dalla filosofia come “non Io” deve essere unito sotto il nome della Natura. Sono d’accordo con lui che “nelle foreste torniamo alla ragione e alla fede, qui sfuma l’egoismo basso, e le correnti dell’esistenza della vita universale passano attraverso di noi, aprendo i pensieri alti e i sentimenti valorosi”.

 

Osservazione che condivido anch’io e che mi offre l’opportunità di riflettere a proposito della relazione tra Uomo e Natura così come era concepita dal grande cineasta russo Andrej Tarkovskij. Ma ne parleremo tra qualche istante. Ora, entrando nel regno del visibile ed esattamente nel vivo della documentazione fotografica e documentaristica – rappresentata in modo straordinario da Catherine Peix – lo spettatore ha l’impressione di entrare in un mondo primordiale, inesplorato, inviolato.

Ci vuol parlare brevemente di questa immensa foresta incontaminata vista dal suo osservatorio privilegiato di studiosa e di custode di un patrimonio così importante per tutta l’umanità?

Prima di tutto, queste foreste rappresentano un bellissimo paesaggio e un suggestivo scenario nel sistema delle alte montagne del Tien Shan settentrionale e occidentale, formando un cerchio montuoso del Paese, nel Sud-est e nel Sud del Kazakistan. Sono particolarmente ammirati durante il periodo di piena fioritura del melo quando poggiano, come una nuvola bianca e rosa, sulle pendici dei monti, e i loro fiori emanano un profumo delicato che riempie l’aria mentre il ronzio delle api fa pensare a un certo accompagnamento “musicale”.

La principale specie delle foreste è il Malus Sieversii (Ledeb.) M. Roem. Quasi ovunque questa specie è accompagnata da altre due specie di meli selvatici, la più interessante delle quali è il melo di Nedzvetzski (Malus niedzwetzkyana Diect.). E’ molto raro, si incontra con singoli esemplari e si differenzia principalmente per il colore degli organi e dei frutti vegetativi, con una caratteristica tonalità di rosso. Il melo di Nedzvetzski è iscritto nel Libro Rosso delle piante del Kazakistan e nella Lista Rossa JUCN come specie a rischio di estinzione (categoria I), così come il melo di Sievers che ha lo status di specie in contrazione del suo numero (III categoria).

Carta del Kazakistan con in evidenza l’ambito territoriale delle foreste dei meli selvatici, dei parchi naturali nazionali e delle riserve naturali statali (elaborazione a cura di Natalya Ogar).
Carta del Kazakistan con in evidenza l’ambito territoriale delle foreste dei meli selvatici, dei parchi naturali nazionali e delle riserve naturali statali (elaborazione a cura di Natalya Ogar).

Il secondo melo è il Melo dei kirghisi (Malus kirghisorum Al. et An. Theod.): un albero che arriva fino a 12 metri di altezza, con ampia corona sferica, e cresce singolarmente o in piccoli gruppi nelle foreste con il predominio di Malus sieversii, per lo più nelle montagne del Tien Shan occidentale. Esiste un circuito di passaggio continuo dal Malus kirghisorum a Malus sieversii, e per questo motivo in diversi periodi gli scienziati hanno descritto le loro varietà come specie nuove, con i nomi diversi che successivamente sono stati attribuiti alla varietà delle loro forme.

Le foreste dei meli del Tien Shan crescono nelle catene montuose medio-basse, a un’altezza che va dai 500/900 ai 1.800/2.100 metri sul livello del mare, in una vasta gamma di condizioni ambientali. Nella parte settentrionale della sua area i loro piccoli agglomerati sono limitati alle macro-pendici meridionali dei monti Tarbagatay, la cresta più a nord del Tien Shan. Sono monti senza foreste, con la predominanza di macchie di arbusti e di steppe di vario genere. Le strisce strette di foreste sono limitate alle profonde valli dei fiumi di montagna. In esse, insieme al melo, prevalgono gli alberi di pioppo (Populus Pilosa, P. laurifolia), di ciliegio a grappoli (Padus racemosa) e altri alberi, con una ricca varietà di arbusti e erbe. Alcuni alberi di melo, più alti, o i loro piccoli gruppi, si incontrano qui su terrazze piane sopra la pianura alluvionale dei fiumi e sulle pendici più basse, nelle gole, salvandosi in questo modo dalle forti gelate d’inverno. Sono ben visibili sullo sfondo delle ricche erbe dei prati e delle steppe, e degli arbusti. La notevole composizione floreale dona a questi boschi un aspetto incredibilmente multicolore in tutte le stagioni, tranne d’inverno. Le condizioni di crescita dei meli sono piuttosto rigide: l’inverno è prolungato e freddo (fino a – 43° C), l’estate è moderatamente umida, a volte arida e calda (fino a + 42° C), e le piante dei meli sono basse, con una corona diffusa e densa, ma quasi sempre con grandi frutti.

Gli agglomerati più ampi delle foreste di melo selvatico sono presenti nelle montagne di Jungar Alatau (48% in Kazakistan). Qui formano una zona ben distinta nelle parti medio-basse delle pendici e si trovano ovunque nelle valli dei fiumi. In estate, le foreste ricordano una giungla impenetrabile dove molti alberi, che superano i 20-25 metri di altezza, sono intrecciati al luppolo (Humulus lupulus). Nel sottobosco, di solito, vi è una grande varietà di arbusti mentre le ricche piante erbacee raggiungono 1,5 metri di altezza. Nella parte superiore della foresta, insieme al melo, si trovano le conifere giganti di abete Schrenk (Picea schrenkiana) o del Tien Shan, e l’abete siberiano (Abies sibirica), e nella media montagna si incontrano dei piccoli gruppi di pioppo tremulo (Populus tremula) e di betulla (Betula tianschanica). Solo qui si sono conservati i vecchi alberi di melo la cui età è superiore ai 350 anni, con la circonferenza del tronco di 2,5 metri, mentre continuano a fiorire e a dare i loro frutti.

Nelle montagne dello Zailiyskiy Alatau, nei pressi di Almaty, la cintura delle foreste dei meli è rappresentata in modo frammentario e si è conservata solo in aree remote, lontano da insediamenti umani. La composizione floristica e la struttura di queste foreste sono quasi le stesse che nel Jungarskiy Alatau; la differenza principale sta nella dominazione parallela di un altro rarissimo albero da frutto: l’albicocca ordinaria (Armeniaca vulgaris), la boscaglia naturale del quale è sostanzialmente conservata solo qui. Essi donano un particolare pittoresco alle foreste dei meli in primavera, durante la fioritura, quando l’aspetto è dominato da un colore rosa brillante, e soprattutto in autunno, quando la corona umbellata dei loro alberi cambia colore per 10-15 giorni: dal giallo-arancio al bordeaux e al quasi viola, assicurando una straordinaria brillantezza al paesaggio nel suo complesso.

Nel Tien Shan occidentale gli alberi dei meli selvatici crescono in condizioni di calura e di siccità e sono caratterizzati da un periodo di vegetazione più lungo, da aprile a novembre. Qui, come al nord dell’areale, nei monti Tarbagatay, essi si trovano sui pendii ripidi dei profondi canyon e delle gole strette, nonché nelle golene dei fiumi, per ripararsi dal caldo e non dal freddo. Le parti originali delle macchie impervie delle foreste dei meli si formano su alti terrazzi vallivi, nelle ampie valli dei grandi fiumi di montagna. La struttura della vegetazione è la stessa delle montagne del Tien Shan settentrionale, ma la composizione della flora è completamente diversa, perché in questa zona il principale tipo di vegetazione erbacea è rappresentato dai cosiddetti “savonoidi” dominati da una precoce vegetazione primaverile – ephemerals /effimeri ed ephemeroidals -, principalmente bulbose e cereali. In primavera l’aspetto è straordinariamente colorato, anche per l’abbondanza di diversi tipi di tulipani (Sp.Tulipa) e di altre piante, e in autunno sullo sfondo giallo-marrone delle erbe secche si distinguono chiaramente gli alberi di meli giallo-verdi costellati da accesi frutti variopinti che vanno dal giallo al bordeaux scuro. Sulle pendici dei monti, insieme agli alberi di melo crescono le specie arboree di ginepro (Juniperus semiglobosa, J. zeravschanica), piccoli alberelli di pistacchio (Pistacia vera), pero di Regel (Pyrus pegelii), pruno selvatico sogdiano (Prunus Sogdiana), e una varietà di arbusti. Nelle valli dei fiumi, insieme agli alberi di melo, di solito crescono il frassino (Fraxinus Sogdiana), il bagolaro (Celtis caucasica), il ciliegio selvatico (Padellus mahaleb), che di solito sono avvolti dall’uva selvatica (Vitis vinifera).

La particolarità delle foreste di meli del Tien Shan è l’abbondanza cosmopolita della coesistente flora della famiglia di rosacee (Rosaceae), in particolare delle piante da frutto selvatiche. Si tratta di diversi tipi di biancospino (Sp. Crataegus), sorbo (Sp. Sorbus), rosa canina (Sp. Rosa), ciliegio (Sp. Cerasus), lamponi (Sp. Rubus), cotoneaster (Sp. Cotoneaster), mandorlo (Sp. Amygdalus), pero (Pyrus communis, P. pegelii).

Queste foreste, a differenza da quelle di conifere e di latifoglie da frutto, sono insolitamente luminose e colorate, allegre; vi si avverte il flusso di energia positiva e si raggiunge un buono stato emotivo.

 

Lei ha vissuto in parte l’esperienza statalista e totalizzante del regime sovietico, stretta tra l’incudine della nomenklatura burocratica ed il martello del potere politico. Vorrei conoscere il suo pensiero a proposito della libertà di studio e di ricerca di cui godeva, o non godeva, come studiosa e intellettuale.

Per essere onesti, io personalmente, e la mia generazione degli anni cinquanta del XX secolo, e anche dopo, non abbiamo vissuto il regime totalitario; forse, si tratta solo di casi isolati. Se parliamo della scienza in generale, praticamente tutti coloro che vivevano nell’Unione Sovietica credevano che dopo la Grande guerra patriottica (Seconda guerra mondiale, n.d.t.) e fino al crollo dell’Unione Sovietica vi sia stata la migliore organizzazione della scienza nello spazio post-sovietico in assoluto. Tutto si conosce e si elabora a confronto. Nel periodo sovietico, lo status dell’Accademia delle Scienze, sia nel Paese sia nelle Repubbliche dell’Unione, era equiparato ai ministeri settoriali. La scienza era gestita dagli scienziati e non dai funzionari dello Stato. Vi erano grandi programmi pubblici di ricerca, per la maggior parte erano integrati, e ciò ha permesso agli scienziati di cooperare strettamente in diversi campi raggiungendo efficacemente obiettivi comuni. Inoltre, la considerazione dello scienziato nella società era molto elevata: essi si ritenevano persone particolarmente dotate che investivano il loro potenziale intellettuale per il bene del genere umano. A quel tempo, si conduceva la ricerca di base e quella applicata su commissione specifica delle singole società e organizzazioni. La scienza veniva ben finanziata, e il titolo di scienziato era prestigioso.

Il governo dava grande importanza allo sviluppo della scienza nel Paese. Solo in Kazakistan, alla fine degli anni quaranta e nei primi anni cinquanta, sono stati aperti oltre quindici istituti di ricerca scientifica il cui potenziale era abbastanza alto. C’era una completa libertà di ricerca; nella maggior parte dei casi si diventava scienziati per vocazione, senza considerazione della provenienza sociale, perché l’istruzione era gratuita. Forse, in alcuni settori scientifici legati al segreto di Stato, esistevano delle limitazioni, ma in generale non ce n’erano. Non è un segreto che il destino di alcuni studiosi abbia subìto l’influsso negativo dei fattori puramente umani, come l’invidia, la bassezza, la meschinità, etc. Quando questi sentimenti erano poi sostenuti dai responsabili delle decisioni fatali, soprattutto dai ranghi dello Stato, non tutti gli scienziati, per vari motivi, sono stati in grado di sopportare e di resistere nelle loro posizioni. Purtroppo, questo accade anche nella società odierna, ma in misura minore, probabilmente perché i principi che difendono gli scienziati sono poco chiari e indispensabili, e questa tendenza si sta verificando non solo nei paesi dell’ex URSS. Io personalmente non ho mai subito alcuna pressione, c’è sempre stata la piena libertà, c’erano buoni maestri e mentori, c’era il diritto della libera scelta dell’indirizzo scientifico ecc., probabilmente da questo punto di vista sono stata fortunata.

Aymak Djangaliev nel suo laboratorio, durante le interviste per il documentario di Catherine Peix. Davanti a lui, sul tavolo, la sua tesi del 1969 sul Malus sieversii (fotografia tratta dal documentario di Catherine Peix).
Aymak Djangaliev nel suo laboratorio, durante le interviste per il documentario di Catherine Peix. Davanti a lui, sul tavolo, la sua tesi del 1969 sul Malus sieversii (fotografia tratta dal documentario di Catherine Peix).

Nello spazio post-sovietico, anche in Kazakistan, oggi non si conducono studi su larga scala, scompaiono le scuole scientifiche dove la conoscenza accumulata, arricchita da elaborazione scientifica e filosofica, veniva tramandata direttamente da maestro ad allievo. Per le scienze della natura è importante la simultaneità e l’integrazione degli studi dei ricercatori in diversi campi, e oggi questo manca. Il modello occidentale di finanziamento dei progetti scientifici attualmente adottato, a fondo perduto, ci permette di risolvere soltanto problemi locali, e solo parzialmente. Gli scienziati, o i loro piccoli gruppi, lavorano in una particolare direzione per lo più per soddisfare i loro interessi accademici personali, mentre le questioni sistemiche complesse della scienza non vengono pienamente affrontate; sono sorte molte restrizioni inutili e non ci sono organizzatori sufficientemente competenti rispetto alla scienza. Ci sono meno ricerche di base nella loro accezione classica. Sono nate molte nuove possibilità, e spesso ci “disperdiamo”, approcciando nuove, promettenti aree, spesso con successo. Negli ultimi anni anch’io ho dedicato molta attenzione alle problematiche ambientali che confinano con le scienze classiche della natura, con l’introduzione di moderne tecnologie, etc. Ciò cattura l’attenzione, permette di guadagnare bene, ma la maggiore soddisfazione la ottengo solo quando studio la natura o faccio qualcosa di utile per la sua conservazione.

Foresta di Malus sieversii a 1.664 metri di altitudine, Trans-Ili Alatau, Zailiysky (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).
Foresta di Malus sieversii a 1.664 metri di altitudine, Trans-Ili Alatau, Zailiysky (fotografia di Catherine Peix, Associazione Alma).

Le sono molto grato per questa importante e utile delucidazione e quindi Le chiedo: dopo la dissoluzione del mondo sovietico, le cose in Kazakistan sono cambiate? La ricerca scientifica, libera dalle incrostazioni ideologiche del passato, è più attenta ad una “ecologia del pensiero” che implichi una vera armonizzazione tra l’uomo e l’ambiente, con l’obiettivo di un’autentica salvaguardia delle risorse del pianeta?

Il Kazakistan, naturalmente, è cambiato, così come tutti i paesi, tra cui quelli dell’ex Unione Sovietica. Si è diventati più attenti all’ecologia del pensiero, al “pensiero ambientale”, non a causa dell’indipendenza ma in seguito alle generali tendenze globali. Nonostante il fatto che in Kazakistan la scienza nel suo complesso si sia indebolita nel periodo post-sovietico, a causa delle realtà economiche e di altre realtà della vita, sono comunque nati altri nuovi meccanismi per la risoluzione dei problemi scientifici e pratici, attraverso una maggiore cooperazione internazionale. Come Stato sovrano, il Kazakistan ha ratificato numerose Convenzioni internazionali, anche nel settore della tutela ambientale, della conservazione della biodiversità, del cambiamento climatico e in altri ambiti. Ciò ha contribuito ad attrarre nel Paese le organizzazioni e le fondazioni internazionali, come ad esempio la Rappresentanza delle Nazioni Unite in Kazakistan (UNDP), GEF, l’UNESCO e altre che, in primo luogo, hanno promosso e finanziato molti progetti ambientali. Un reale sostegno per i classici settori della scienza e per lo sviluppo di quelli nuovi da anni offre il Centro internazionale della scienza e tecnologia (ISTC), la cui sede, responsabile per i paesi dell’ex Unione Sovietica, a partire dal 2015 si trova nella capitale kazaka Astana, così come molte altre organizzazioni e fondazioni internazionali. I principali esecutori di questi progetti, di solito, sono gli scienziati.

Questa situazione ha radicalmente cambiato le menti degli scienziati, e se in precedenza la scienza risolveva i problemi al fine di raggiungere specifici scopi scientifici, nelle condizioni attuali i suoi risultati sono di proprietà delle grandi masse, vengono divulgati, utilizzati nel processo formativo che porta alla consapevolezza della necessità di rispettare la natura e di conservare le risorse naturali per le generazioni future. Cioè, nel nuovo ordine mondiale la scienza diventa importante non solo per la scienza stessa, come processo di apprendimento, ma anche per la vita in tutte le sue molteplici forme a livello planetario. Il ruolo degli scienziati in questo processo è estremamente elevato, in quanto proprio loro sono conduttori della conoscenza necessaria. Pertanto, anche il premio della Fondazione Benetton a “Le foreste dei meli selvatici del Tien Shan, Kazakistan” è un esempio lampante della “scienza senza frontiere”, e della consapevolezza che esistono dei valori superiori alle politiche dei singoli stati e unioni, ai risultati dei singoli scienziati, alle istituzioni, e proprio essi uniscono persone di tutto il mondo, regalando loro la consapevolezza di far parte della conservazione della ricchezza della natura.

 

Vorrei chiudere questa interessante conversazione – che ci permette di entrare in un mondo per molti di noi ancora sconosciuto e di allargare quindi il nostro campo di ricerca culturale – richiamando la sua attenzione su un tema che mi ha sempre affascinato: lo sguardo dell’uomo contemporaneo sulla “natura” come luogo di mediazione tra l’umano e il divino.
Osservando da vicino le bellissime ricognizioni fotografiche e documentaristiche (autentiche raffigurazioni iconografiche) sulle immense foreste del Tien Shan, mi è tornata alla memoria la struggente simbologia dell’ estetica tarkoskiana – il regista russo Andrej Tarkovskij è stato un eccellente testimone di una natura vista e vissuta come emblema della forza di ogni esistenza, come ad esempio nel film “Andrej Rublev”, dove afferma che l’uomo sarà felice solo se saprà vivere semplicemente e spontaneamente come la natura – …
Che cosa pensa della riflessione del cineasta russo?

      Apprezzo moltissimo le opere di Andrej Tarkovskij, in cui la profonda filosofia di vita umana è in armonia con la natura. Credo che lui in qualche modo abbia ragione affermando che per essere felici bisogna imparare a vivere in modo semplice e spontaneo, come la natura stessa…, ma considerando le tentazioni alle quali si sottopone l’umanità grazie al progresso scientifico e tecnologico, questo è il destino di singole personalità, profondamente spirituali. Per quanto riguarda il “divino”, più conosco la natura, più mi viene paura di saper poco e di non capire niente. Sono sempre sorpresa di quanto tutto sia in sottile armonia; ogni pianta, ogni insetto ha la sua nicchia vitale: chi ha studiato tutto questo in modo così minuzioso? Esiste il Creatore? Il Tempo e lo Spazio sono le categorie filosofiche più complesse, e in natura sono così meravigliosamente intrecciate, mettendo ogni cosa al suo posto e assicurando i più complessi meccanismi di interazione tra la materia vivente e non vivente. Come vengono avviati questi meccanismi? Perché i paesaggi distrutti dall’uomo conservano la memoria dell’armonia naturale e della relazione di tutti i componenti, e dopo un certo periodo tempo questi vengono riportati al loro aspetto originario, se l’uomo non interferisce? In questo caso, si pone la domanda: l’uomo è una parte della natura?

Andrej Tarkovskij sul set del film Sacrificio.
Andrej Tarkovskij sul set del film Sacrificio.

 

Traduzione di Iryna Borusovska per conto della Fondazione Benetton Studi Ricerche

Coordinamento editoriale Patrizia Boschiero

Massiccio del Djungarsky, 600 chilometri a nord di Almaty. Malus sieversii sui pendii delle montagne, nella regione kazaka di Lepsinsk. (2016, fotografia di Catherine Peix-associazione alma; Fondazione Benetton Studi Ricerche-PremioInternazionale Carlo Scarpa per il Giardino).
Massiccio del Djungarsky, 600 chilometri a nord di Almaty. Malus sieversii sui pendii delle montagne, nella regione kazaka di Lepsinsk. (2016, fotografia di Catherine Peix-associazione alma; Fondazione Benetton Studi Ricerche-PremioInternazionale Carlo Scarpa per il Giardino).

* Nota biografica

 

Natalya Ogar (Kazakistan, 1954) è laureata in Scienze Biologiche, insegna ed è membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze della Repubblica del Kazakistan. Si è specializzata nello studio e nell’analisi delle regolarità nella struttura spaziale, delle dinamiche naturali e antropogeniche degli ecosistemi naturali e della vegetazione, compresa la loro classificazione e mappatura, nella creazione di modelli cartografici, nello sviluppo di azioni per la conservazione della biodiversità e nel restauro forestale. Negli anni 1977-2007 ha lavorato presso l’Istituto di Botanica e Fitointroduzione del Ministero della Scienza e dell’Istruzione, dal 1993 come responsabile del Laboratorio di Geobotanica. Dal 2007 fino a oggi è vicedirettore generale della società Centre for Remote Sensing and Geographical Information Systems “Terra”, la cui attività principale è la fornitura di una gamma di servizi a tutela dell’ambiente, la conservazione degli ecosistemi naturali e della biodiversità, la creazione di prodotti di geoinformazione. Negli ultimi vent’anni sono stati realizzati più di cento progetti di spnt (Specially Protected Natural Territories) in Kazakistan, che sono serviti al governo come esempio per l’adozione di risoluzioni sulla creazione di nuove aree protette e per l’espansione di quelle esistenti. Grazie a questi progetti la superficie totale di spnt in Kazakistan è aumentata di 5.779.410 ettari. La protezione viene fornita per quasi tutto l’habitat di Malus sieversii nel territorio del Kazakistan e per tutte le aree più grandi delle foreste dei meli.

Dal 2010 collabora con Cathеrine Peix (Associazione Alma, Parigi) alle ricerche, condotte ogni anno senza supporto finanziario esterno, di carattere ecologico, biologico, botanico e geografico sul Malus sieversii in Kazakistan, compresa la mappatura e la creazione di una banca dati elettronica. L’obiettivo principale delle ricerche è quello di identificare e valutare lo stato attuale delle riserve genetiche di Malus sieversii che sono state individuate dall’accademico Aymak Djangaliev. Ciò è necessario per la conservazione degli ecosistemi delle foreste naturali dei meli e della diversità genetica del Malus sieversii come patrimonio mondiale.

Ha pubblicato 196 articoli di ricerca, di cui 22 monografie come coautore, tra le quali: Botanical Geography of Kazakhstan and Central Asia (Desert Zone), San Pietroburgo 2004 (in russo e in inglese) e Landscape and Biological Diversity of Kazakhstan, undp-Kaza­kistan 2005 (in kazako, russo, inglese). Ha predisposto e pubblicato più di venti mappe tematiche (sulla vegetazione, sugli ecosistemi, sul paesaggio, mappe di ecologia e altro), utilizzando avanzate tecnologie di rilevamento a distanza e sistemi di geoinformazione.

 

 

PREMIO INTERNAZIONALE CARLO SCARPA PER IL GIARDINO

XXVII edizione 2016

Le foreste dei meli selvatici del Tien Shan – Dossier

Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, xxvii edizione, a cura di Giuseppe Barbera, Patrizia Boschiero, Luigi Latini, con Catherine Peix, Fondazione Benetton Studi Ricerche (collana editoriale Memorie/serie dossier Premio Carlo Scarpa), Treviso 2016, 172 pagine, 185 illustrazioni a colori e 79 in bianco e nero, isbn 978-88-97784-95-1, distribuito fuori commercio dalla Fondazione Benetton e in commercio attraverso Antiga Edizioni (prezzo di copertina 20 euro); è pubblicata anche l’edizione integrale in lingua inglese (ISBN 978-88-99657-06-2).

Il dossier monografico raccoglie una ventina di contributi inediti, e una ricca documentazione fotografica attuale – in gran parte fotografie realizzate da Catherine Peix nel corso di numerose spedizioni sul Tien Shan – e storica sul luogo designato e sulle molte questioni da esso poste. Come di consueto il dossier fornisce anche alcune documentazioni cartografiche e una serie di riferimenti bibliografici utili per ulteriori approfondimenti.

Dopo la prima parte più direttamente connessa al Premio Carlo Scarpa e alle sue motivazioni, segue una sezione di sei testi dedicati in modo specifico al Malus sieversii e alle sue foreste nel Tien Shan, al contesto storico e geografico del Kazakistan, a quello più ampio delle vie della seta, per poi prendere in esame la figura chiave dello scienziato Aymak Djangaliev e l’associazione Alma, che ne salvaguarda e fa conoscere l’opera.

Seguono quattro contributi di studiosi che da differenti punti di vista disciplinari guardano a quello che sinteticamente possiamo definire come il rapporto, da sempre vivo e complesso, tra le piante, il paesaggio e l’uomo. Naturalmente anche l’economia, la politica e le tecno-scienze hanno molto a che vedere con la storia e l’attualità di queste foreste, e con il nostro sguardo verso i meli selvatici, il “selvatico” rispetto al “coltivato”.

Infine, sul melo e la mela, alcune finestre più direttamente aperte su alcuni specifici contesti europei di attuale coltivazione del melo in Trentino-Alto Adige, su esperienze di agroecologia in Francia e sul paesaggio del melo dell’Appennino, per finire, grazie a un approfondimento sull’Istituto Vavilov di San Pietroburgo, con alcune riflessioni per una visione globale delle risorse genetiche mondiali.

da sx Luigi Latini, Catherine Peix, Luciano Benetton, Natalya Ogar, Patrizia Boschiero
da sx Luigi Latini, Catherine Peix, Luciano Benetton, Natalya Ogar, Patrizia Boschiero

 

Indice

Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 1990-2016, 4

Regolamento e Comitato scientifico, 5

Le foreste dei meli selvatici del Tien Shan. Motivazione del Premio Carlo Scarpa, 6

Catherine Peix, Malus sieversii: la specie selvatica all’origine della mela coltivata, 17

Natalya Ogar, La distribuzione e l’ecologia del melo selvatico asiatico nel Tien Shan, 25

Natalya Ogar, Il Kazakistan. Sintesi geografica e storica, 36

Massimo Rossi, L’antica via della seta, i grandi imperi e la migrazione dei meli, 43

Tatiana Salova e Catherine Peix, La vicenda umana e scientifica di Aymak Djangaliev

(1913-2009), il “padre” del Malus sieversii, 49

Catherine Peix, L’Associazione Alma, 57

 

Fondazione Benetton Studi Ricerche

Silviero Sansavini, Il pomo, l’albero, il frutteto: origine ed evoluzione in coltura del melo, 63

Giuseppe Barbera, I paesaggi del melo, 71

Diego Rivera e altri, Addomesticamento e conservazione di alberi da frutto selvatici in Eurasia, 87

Hervé Brunon, Discorso di un melo “selvatico”, o la capacità di agire delle piante, 97

Joan Vicente i Rufí, L’Asia Centrale e la nuova via della seta. La geopolitica come palinsesto, 103

Catherine Peix, Nikolaj Vavilov e Trofim Lysenko: “la guerra delle due scienze”, 111

Francesco Sottile, Manipolazioni genetiche, economie, paesaggi, biodiversità, 124

Massimo Tagliavini, Wolfgang Drahorad, Andrea Fedrizzi, Il melo nelle valli alpine del Trentino-Alto Adige, 127

Fabrizio Fronza, La coltivazione del melo in Trentino, 132

Évelyne Leterme, Agroecologia e biodiversità, amiche del frutteto, 141

Isabella Dalla Ragione, Il melo nel paesaggio dell’Appennino, tra storia e cultura, 147

Catherine Peix, Vavilov e il suo istituto. Una visione globale delle risorse genetiche mondiali, selvatiche e coltivate, 152

Bibliografia, 162

Referenze sulle illustrazioni, 166

Elenco degli autori, 167

Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino 2016, 168

 

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