RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Armando Morbiato. Storia di un emigrante che volle farsi viaggiatore, di Antonio Costa

[Tempo di Lettura: 4 minuti]

Armando Morbiato
L’INCANTO DEL VIAGGIATORE
Diari (1957-1967) e ricordi di un emigrante
a cura di Luciano Morbiato, prefazione di Francesco Vallerani
pp. 321, € 25
Il Poligrafo, Padova 2020

       Dire viaggiatore o dire emigrante non è dire la stessa cosa. E tuttavia ambedue le qualifiche s’addicono al protagonista e autore di questo libro: la prima la troviamo nel titolo, la seconda nel sottotitolo. Ne è autore Armando Morbiato, primogenito di una famiglia operaia di sette figli, nato nel 1933: siamo a Camin, nei pressi di Padova, in una zona agricola destinata a subire ben presto la mutazione antropologica e ambientale derivante dalla industrializzazione del Nord-Est. Per un ragazzo della sua condizione il percorso è prefissato: dopo la scuola elementare, andrà a bottega per imparare un mestiere. Così, appena finita la guerra, nel 1946, lo troviamo apprendista nella falegnameria di Bruno Cacco. Alla bottega di Cacco, lungo il Piovego, egli non solo completa il suo apprendistato di falegname, ma inizia anche quello di viaggiatore. Un giorno, entrato in una villa con il suo paròn per restaurare dei vecchi mobili, scopre per caso una carta del Canada e le colonie inglesi, stampata a Venezia “presso Antonio Zatta”, nel 1785. Sono le carte geografiche, insieme ai libri di avventure e al grande atlante De Agostini preso in prestito da un compagno, a suggerirgli altre scelte di vita: non avrebbe continuato sempre a fare il falegname e nemmeno sarebbe diventato padrone di bottega, ma sarebbe arrivato un giorno a quei boschi e a quei laghi che aveva imparato a decifrare nei “segni” delle carte geografiche. Così, contemplando le acque del Piovego, capisce che il fiume che passa vicino a casa parla la stessa lingua dei fiumi lontani che si aprono la strada negli spazi bianchi della carta dove ha letto diciture come “Queste Nazioni selvagge sono raminghe”, oppure “Queste Contrade sono poco conosciute”. Ma per realizzare il suo sogno deve scegliere la strada dell’emigrazione, cominciando con l’Australia dove potrà mettere a frutto l’unico capitale che possiede, il suo mestiere.

Il Mappamondo, ossia descrizione generale del Globo, 1774 in Venezia presso Antonio Zatta.

       Il nome dell’autore: da questo conviene prendere le mosse per cogliere la composita architettura di questo libro fatto di diari, lettere, fotografie, ricordi di un emigrante-viaggiatore che, nel corso di un decennio (dal 1957 al 1967), ha raggiunto i quattro angoli del mondo, dall’Australia al Canada, dall’America Latina all’Africa, alternando periodi di duro lavoro a viaggi dettati da una inestinguibile irrequietudine. Concluso il periodo dei viaggi, si farà collezionista e mercante di carte geografiche antiche, la cui scoperta fatta da ragazzo era stata all’origine della sua “voglia di mondo”.

       In realtà due sono i nomi dell’autore: Armando, che compare in copertina, e Albino, con il quale viene chiamato in famiglia. Mentre il primo è il nome registrato all’anagrafe e coincide con quello dell’autore reale (o empirico, come si dice in narratologia), il secondo designa piuttosto l’autore implicito, colui che è il risultato di una strategia del testo. E qui le cose si complicano, perché accanto ad Albino, a definire questa strategia ci sono altri tre “nomi”: Francesco e Luciano, fratelli di Albino, e Francesco Vallerani, geografo di professione.

Armando Morbiato al Museo di Geografia di Palazzo Wollemborg dell’Università di Padova

       È uno dei fratelli, Francesco, a redigere gran parte dei resoconti quotidiani dell’incredibile viaggio lungo tutta l’Africa, con una Fiat 600, da Porto Said a Cape Town. Ed è un altro fratello, Luciano, a curare questa edizione. Ha qualcosa di stupefacente che le memorie di una persona singolare come Armando Morbiato abbiano trovato la loro sistemazione a stampa grazie alle cure del fratello Luciano, persona altrettanto singolare. Anche Luciano aveva dovuto intraprendere inizialmente la via dell’emigrazione: alla fine degli anni sessanta, lo troviamo in Canada dove lavora in una miniera e poi in un ospedale. Tornato in Italia, fa diversi mestieri, ma continua a coltivare da autodidatta la sua passione linguistica e filologica per i dialetti, fino ad approdare alla scuola del grande filologo Gianfranco Folena, con il quale si laurea, non più giovanissimo, diventando poi curatore di classici della letteratura italiana (Fogazzaro, in primis) e tenendo per molti anni l’insegnamento di Letteratura delle tradizioni popolari all’università di Padova.

South-East Asia, carta del National Geographic Society

       Quanto a Francesco Vallerani, cercherò di estrarre dalla sua bella prefazione alcune parole chiave, utili a definire le coordinate del testo. La prima è “l’attitudine del rigattiere dell’anima”: è grazie ad essa che si tramandano oggetti come penne, quaderni, taccuini, fogli di carta, ma bisogna sapere che solo il testo, prima manoscritto e poi a stampa, produce il salvataggio definitivo del patrimonio di memorie. La seconda parola chiave è “la catena delle radici”: alla sicurezza e alla prevedibilità del percorso garantito dall’ambiente d’origine si contrappone l’ancestrale istinto a viaggiare, percorrere nuovi spazi, conoscere altre realtà. Il viaggiatore per intraprendere la sua avventura spezza questa catena per proiettarsi verso il “villaggio del mondo”, anche se sa che la condizione di viaggiatore non è permanente. La terza parola chiave è “atlante esistenziale”, termine che definisce perfettamente il ruolo giocato dalla simbologia e dalla toponomastica delle carte geografiche nel guidare e indirizzare le scelte di vita di Albino. Riflettendo su questo “atlante esistenziale” mi è capitato di pensare con insistenza all’Atlante di Luigi Ghirri: in quest’opera postuma, uscita nel 1999 (Edizioni Charta), che documenta una ricerca dei primi anni settanta, il nostro più grande fotografo di paesaggi interrogava, con gli strumenti della macrofotografia, segni, astrazioni cromatiche, sfumature e toponomastica di un comune atlante scolastico, forse lo stesso grande atlante De Agostini scoperto dal giovane Albino.


Foto di copertina
Armando Morbiato nel suo studio. Foto di Giovanni Donadelli

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  • Antonio Costa

    Antonio Costa (Feltre, 1942), saggista e storico del cinema. È stato a lungo collega di Giuliano Scabia all’Università di Bologna dove ha insegnato Storia del cinema e dove ha diretto il Dipartimento di Musica e Spettacolo dal 1995 al 1998. Successivamente è passato all’Università IUAV di Venezia dove ha insegnato Cinema e arti visive presso la Facoltà di Arti e Design. Tra i suoi libri più recenti, La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock (Einaudi 2014, Premio Efebo d’oro) e Il richiamo dell’ombra (Einaudi 2020) e Il cinema italiano (Il Mulino/Farsi un’idea, 2021).