RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

“Oikos. Poeti per il futuro” | Per un’ecologia della parola. Testo di Anna Trevisan

[Tempo di Lettura: 20 minuti]

OIKOS
POETI PER IL FUTURO


La Poesia e le sfide dell’Antropocene

 

[…] l’Antropocene rappresenta una sfida non solo per le arti
e le scienze umane, ma anche per il nostro modo abituale
di vedere le cose, e per la cultura contemporanea in generale”.
Amitav Gosh, La grande cecità

[…] se l’organismo finisce col distruggere il suo ambiente,
in effetti avrà distrutto se stesso”.
Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente

 

       Nel suo noto saggio La grande cecità Amitav Gosh denuncia il “generale fallimento immaginativo e culturale che sta al cuore della crisi climatica”1 e, in particolare, l’inadeguatezza della forma letteraria del romanzo a ricucire quella colpevole frattura tra realtà e rappresentazione. Scrive Gosh che “qui sta l’ironia del romanzo ‘realista’: proprio le strategie mediante le quali evoca la realtà sono quelle che occultano il reale”.2
       Ma nella poesia questo “fallimento immaginativo e culturale” sembra non essere mai accaduto. Nella poesia sembra addirittura incarnarsi il compito di quella “ecologia della mente” preconizzata da Gregory Bateson negli anni ’70, vale a dire: “imparare a pensare nella nuova maniera”, non dicotomica, che accoglie l’idea di una mente dilatata verso l’esterno, dove non c’è contrapposizione tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Forse perché da sempre la poesia contiene quella “certa dose di umiltà, temperata dalla dignità o dalla gioia di far parte di qualche cosa di più grande: parte, se si vuole, di Dio”3 che Bateson ritiene necessaria per costruire un’ecologia delle idee.
       Non stupisce dunque che Stefano Strazzabosco abbia scelto di affidare proprio alla poesia e agli amici poeti il suo appello in nome della salvaguardia del pianeta Terra.
       Da questo invito a prendere parola in difesa dell’ambiente è nato il volume Oikos. Poeti per il futuro, corposa antologia appena pubblicata da Mimesis Edizioni per la collana Classici Contro.

       Il fatto che a quest’invito abbiano risposto ben 150 poeti da ogni dove “dimostra” – come scrivono i curatori della collana Filippomaria Pontani e Alberto Camerotto – “che ancora nel 2020 donne e uomini di tutto il mondo individuano nella comunicazione in versi un veicolo importante, quasi insostituibile, per denunciare l’inesorabile processo di degrado e sfinimento che interessa la Madre Gaia a tutte le latitudini e sotto tutti i Cieli. […]  In questa fede nella parola poetica […] sta uno dei significati più profondi di questa scommessa, che vorrebbe abbracciare l’intera oikumene (l’insieme delle terre abitate, dal verbo oikèo, appunto) in un grido di allarme che interroga ciascuno di noi”.4
       Non è questa la sede per discettare sul perché l’ “ecologia delle idee”, che necessariamente passa per la strutturale premessa di un’ “ecologia della parola”, abbia trovato nel tempo e continui a trovare “casa” proprio nella poesia e non in altri generi letterari. Ma è indubbio il potente e intimo connubio che la parola poetica stringe in queste pagine con Madre Terra.

Luigi Viola, A home garden at night with storm, laserprint on plexiglass 60×90 cm, 2014

       Forse perché la poesia ha il dono della sintesi. La sua struttura è radiante, luminosa, incendiata di significati. Contiene densità di immagini e visioni, scolpisce la parola senza inciderla né scalfirla. La assorbe per intero, con tutta la sua struttura molecolare, costruendo nuove direzioni di senso lungo i sentieri delle figure retoriche. Endiadi, ipallagi, iperbati e allitterazioni, sineddochi e anafore, metonimie e sinestesie si rifugiano libere tra questi versi eterogenei, permettendo di catturare onde intere di suoni in musicalità primigenie.
       In queste pagine si susseguono odi, ballate, liriche, invettive, elegie, canzoni, haiku, che si permettono tutto il privilegio della poesia: intuire senza separare il dentro e il fuori, la mente e il corpo, l’uomo e l’ambiente circostante; affermare senza dimostrare; denunciare senza censurare, spalancando l’immaginazione senza obbligarla ad una argomentazione.
       “Si racconta che Bach a chi gli domandava come potesse suonare così divinamente rispondesse: ‘Io suono le note in ordine, come sono scritte, è Dio che fa la musica”. […] In tutte le età i poeti hanno sempre saputo queste cose, ma noi, gli altri uomini, ci siamo smarriti in ogni sorta di falsa reificazione dell’io e di separazione tra l’io e l’esperienza”5 – scriveva Gregory Bateson.
       La poesia può alludere, eludere, decidere senza fare torto a nessuno. E tutti i convitati sanno che le parole poetiche risorgono ad ogni nuova lettura, illuminando nuove connessioni, nuove tentazioni di significato, nuove aperture, ora colpendo gli occhi, ora la bocca, ora il cuore. Ecco, forse, perché la poesia è ecologia della parola e quindi della mente. Ecco perché la poesia è la “casa” dove è ancora possibile abitare la natura.

La mappa non è il territorio

Un tratto del Fiume Azzurro (Yangtze), in Cina

[…]
Giace profonda, silenziosa.
Soffre per il cemento che la circonda.
Le mancano le arance, il granoturco, il riso e il tè.
Le mancano le cicale che cantano d’estate
e i gelsi che sussurrano in inverno.
Le manca quel ragazzo, mio padre, che recitava Odi alle Arance
ogni mattina, mentre andava a scuola.

Ogni notte l’isola si alza come una luna
librandosi bassa sul suo nuovo corpo, la diga,
ma incapace di trovare i delfini, i dentici
e gli storioni che c’erano lì intorno –
tutte le specie estinte sono andate in cielo,
con lo sguardo rivolto giù alla strana terra
e a Zhongbao nella gabbia fluviale
con tutte le sue lapidi splendenti
nelle profondità del Fiume Azzurro”.

Ming Di, L’isola di Zhongbao, in Strazzabosco (a cura di) op. cit.

       Ma questa silloge poetica concepita, voluta e curata da Stefano Strazzabosco, ambisce ad essere molto più di una pubblicazione, attraverso un articolato progetto che coinvolge attivamente gli studenti delle scuole in letture ad alta voce dei testi poetici, portando ad effettivo compimento la vocazione intrinseca della poesia: essere letta ad alta voce, essere ascoltata, essere parlata, essere pronunciata.
       “L’appello è stato raccolto da molti, e questo libro ne fa fede. Se servirà anche solo a una persona, forse, non sarà stato vano: è per questo che l’abbiamo intitolato Oikos. Poeti per il futuro; ed è per questo che la presenza attiva di studenti e insegnanti nell’accompagnare e dare altra voce alle parole di questi poeti è parte sostanziale della scommessa”6  – scrive Strazzabosco.
       Il risultato è un contemporaneo Atlante di Mnemosine in versi che restituisce alla Terra i suoi territori perduti o sconosciuti ai più. Un memoriale da leggere ad alta voce, dedicato a paesaggi naturali ed artificiali di ieri e di oggi, distrutti e scomparsi a causa della scellerata azione dell’uomo, oppure ancora intatti, terre sommerse, isole scomparse e città costiere in balia dell’innalzamento del livello del mare. Una denuncia della separazione tra l’uomo e la natura. Un catalogo preciso di luoghi geografici di oggi e di ieri, cancellati dal cambiamento climatico o minacciati dall’azione sconsiderata dell’uomo: Casteldaccia, il paese siciliano alluvionato nel 20187; Doggerland, leggendario luogo dell’ultima glaciazione che collegava l’Inghilterra alla Germania8; la terra dei fuochi in Campania, tristemente attuale e viva9; la leggendaria Isola di Lyonesse10; la città di Hiroshima11; l’isola sommersa di Zhongbao a causa della costruzione della Diga delle Tre Gole, in Cina12; la città sommersa di Carpanea, in Italia13; la città di Venezia14.

       Una Spoon River di oggi, dedicata agli attivisti morti per difendere l’ambiente. Una sinfonia “ben temperata” di piante e fiori, da tutto il mondo: dal papavero retico e i rododendri di Antonio Alleva ai narcisi d’acqua e fiori di loto di Nelvia Di Monte; dalle genziane alpine di Marjorie Evasco alle cannelle e ai fiori di ninfea (“canèle e fior de slavaza”) di Luciano Cecchinel; dalla celidonia di Kathleen Jamie alla “rosa del deserto” di Agustín Jiménez.
       Una polifonia intercontinentale di voci, dall’Europa, dal Centro e dal Sud America, dall’Asia, dal Medio Oriente. Un coro dove confluiscono anche le voci potenti di poeti e scrittori noti anche al grande pubblico, come lo scrittore franco-marocchino Tahar Ben Jelloun o la poetessa beat statunitense Anne Waldman, che firmano degli inediti creati ad hoc per la pubblicazione del volume.
       Un ricamo di parole scritte in tante lingue diverse, lasciate brillare sulla pagina bianca a volte come puro segno, indecifrabile e segreto, ma offerte anche nel loro “rovescio” in traduzione italiana: greco, ebraico, arabo; malese, bengalese, vietnamita, indonesiano; giapponese, cinese, russo, ceco; albanese, bosniaco, macedone; svedese, finlandese; inglese, francese, spagnolo, italiano e dialetti italiani.
       Un album poetico che parla di noi e a tutti noi, modulato e scandito anche visivamente dalla delicatezza dell’inchiostro di china dell’artista Luciano De Nicolo, autore dell’immagine di copertina e di quelle contenute all’interno del volume. Sono foglie, che ora sembrano ombre ora piume, ora emersioni profetiche ora tracce del passato, che intrecciano l’idea (eidos) della matrice fisica (physis) sulla quale si imprime la parola scritta alla materia organica e naturale dalla quale essa nasce, in un gioco amoroso e infinito tra cultura e natura, tra foglio e fragile foglia.

Il congedo dalla Terra e altri futuri possibili

Wirikuta si trova nello stato di San Luis Potosì (Mexico), nella Sierra de Catorce. È stata dichiarata Riserva Ecologica Naturale e Culturale dal Governo Messicano e nel 2004 è entrata a far parte dei siti Sacri Naturali dall’Unesco in quanto Patrimonio mondiale dell’umanità

       Forse non è un caso che il primo autore ad inaugurare la raccolta, organizzata in rigoroso ordine alfabetico sia l’uzbeko Azam Abidov, dell’Uzbekistan, con il suo Addio alla Terra. L’inizio dunque è qui, in un congedo dell’immaginazione dal pianeta Terra, in un futuro possibile nel quale abbandoneremo la nostra Casa. Un viaggio nello spazio con una poesia siderale che sembra ballare sulle note distanti del primo David Bowie. Un Alpha e Omega dal quale partire o ritornare.
       Ma la geografia poetica di questa antologia è vasta e variegata. Incrocia latitudini lontane e continenti separati. Dal paese di Casteldaccia, sommerso dall’esondazione del fiume Milicia, in Sicilia, a causa di un alluvione15 ai paesi di Llanwenarth e Deri nel Galles, attraversati dal fiume Usk16; dai ghiacci dell’Artico al Tibet, da Marte alla Luna17; dal Grande Sagneule18 in Svizzera alla collina di Rum Cuilli, in Scozia19; dalla Sardegna20 a San Francisco21; dal deserto di Real de Catorce in Messico22 al Parco nazionale di Doñana in Spagna23; da Reykjavik a Lima24 dal fiume Paranà in Sud America25 al fiume Irrawaddi in Myanmar26; dall’insenatura di Firth of Clyde in Gran Bretagna27 alla città di Kota Tinggi in Malesya28.

Degli animali e di altre creature

[…]
Mi aprii un varco, ero un pioniere…

Risistemai la cucina, spostai il frigorifero
Cosa vidi? Forse un’abbondanza di briciole, polvere, detriti?
Spaghetti secchi, schizzi di sugo?
Tracce di ketchup, senape?
Niente del genere, soltanto il custode
della riserva e della corte
lancette nere come cosce:
davanti a me un ragno maschio, pronto alla lotta.

Mi aprii un varco, ero un pioniere …
[…]

Jouni Inkala, Il pioniere del XXI secolo, in Strazzabosco (a cura di) op. cit.

       L’epifania di un ragno maschio, in cucina, che affronta il poeta mentre si accinge a fare pulizie, è forse una delle immagini più icastiche ed incisive di questa antologia, dedicate al mondo animale. In questa potente e cinematografica agnizione, grazie alla quale il poeta riconosce il ragno come suo simile e lo lascia vivere, sta la poesia, che si crea un varco nel duello disarmato tra uomo e animale. Un potentissimo effetto zoom che illumina il microcosmo e il suo fare sorprendentemente pace con l’uomo.

Urogallo, o gallo cedrone

       Ma nel volume ci sono poesie intere intitolate o dedicate agli animali di ogni latitudine e specie: odi al “merlo tra i rovi”29; al martin pescatore con le sue ali azzurre30.
       Ci sono poesie abitate da tartarughe31, o affollate da uccelli e insetti: la gazza32, l’urogallo, le formiche, le api, le coccinelle33, le tortore34; il falco pellegrino, “monaco guerriero”35; il macaone36. Ci sono animali in via di estinzione e animali comuni: orsi, oche, gatti, foche, balene37. Inni alle lucciole, “quell’atlante di eroiche luminarie/un fugace universo in miniatura”38.
       Ci sono versi dedicati ad un “bruco verde brillante che si contorce delicatamente come se fosse inquieto /per qualche presentimento”39. E poi esotici serpenti e il mitico giaguaro-balam, “signore della notte”40, magico avatar dell’anima della foresta. Ci sono animali dei boschi, della savana e della giungla: la civetta, lo scricciolo, la cutrettola, i falchi, le locuste41; le formiche rosse, i grilli, gli avvoltoi, le antilopi, le salamandre axolòtl42; il pitone, “la tigre reale del Bengala”, le scimmie eremite, i cervi pomellati, gli scoiattoli, la mangusta, i cinghiali43. C’è il mondo degli uccelli come l’averla, i rondoni, i passeri e le allodole stravolte dall’arrivo delle gazze, dei corvi, dei colombacci, dei gabbiani;44 un “cormorano nero che disegna scie rotonde / convulso e disattento”.45 Ci sono, ultime ma non ultime, le vacche, “pollici di Dio”46. 

Degli alberi e delle piante

Albero sacro di ceiba di Vieques, piccola isola al largo di Porto Rico

Mi piace
la calma statura degli alberi;
il loro modo di star lì
quasi per caso, obbedendo
al gesto lontano di uno sconosciuto
di seminarli lì,
in quel posto prescelto per loro
da una mano che forse è già assente,
o perché sono nati
dal perdersi di un seme
venuto da lontano,
fino a che è germogliato
proprio in quel bosco, in quella selva,
in quel giardino che ha potuto
salvarsi in qualche modo
da seghe e grattacieli.
Nulla,
non vogliono nulla,
essere solo e continuare a essere
ogni mattina chiara.
Crescono lentamente:
non esistono alberi istantanei,
né un orologio con la data di consegna
si è visto mai
nel loro calmo calendario
né in quei rami avidi
solamente di spazio, vento,
acqua e tempo”.

Blanca Luz Pulido, L’albero all’angolo, in Strazzabosco (a cura di) op. cit.

       È nel mondo vegetale, negli alberi e nei boschi, che la natura sembra manifestarsi in tutta la sua immanente trascendenza. Forse perché, come scrive Ángela García in Monologhi dell’albero, l’albero ci mette davanti al puro esistere, all’esserci senza un perché: “C’è in me ciò che è senza ragioni, / non ho altro argomento che restare in piedi”47.  
       Scorriamo le pagine e troviamo la tulipifera e il cedro dell’Himalaya, il bagolaro e i cipressi, l’ippocastano e le loro foglie, raccolte nel bosco dai bambini insieme al loro maestro:
       “Piove piove piove… ultime foglie, ultime passeggiate prima che gli alberi si spoglino definitivamente. Eppure le foglie sembrano resistere, le calpestiamo sotto i piedi come carta che si macera… abbiamo raccolto una cesta di foglie secche e ne faremo farina di foglie per dipingere48.
       Ma mentre quei bambini giocano con le foglie autunnali, in un vicino altrove “Il piccolo siriano striscia per terra / rifiuto della guerra respira kerosene /sugge veleno dalle foglie /annusa i colchici nascosti /dal fango delle magre piene”49.
       Negli alberi gli uomini si specchiano, trovano il loro doppio vegetale, la loro maschera totemica. Alberi che sono in completa simbiosi con i corpi umani: polmoni come foglie, cuore come anelli concentrici, corpo come legno, sogni come foglie accartocciate50.
       Ci sono “le foglie tagliate del banano”, “le foglie taglienti del falasco”51, “le foglie dell’acero dello Shantun”52. Ci sono pioppi e salici detti attraverso la dolcezza infinita del dialetto: “talpói e salez che i trema arjentadi fa spiriti vèci” di Luciano Ceccchinel53; ci sono l’abete rosso, che stregò Stradivari, le faggete e il pino cembro, il larice e i salici nani54; l’acacia55; gli “ovunque arborescenti” ailanti, “lance bronzee/su strade spoglie”56. “Un albero di alloro. Come è fatto: così, così. Venuto su contro il muro di cinta, senza chiedere a nessuno come, quanto, perché”57; il mandorlo che “accarezza l’aria / col sospiro di sposa”58. Ci sono piante di timo59, di biancospino, di rosmarino, un “vaso di basilico”60. C’è l’orientale “cigolio dei bambù!”61.
       Ci sono la “yucca robusta”62; il sacro cactus-híkuri, “stella in fiore” che insegnava all’uomo a “Danzare. Volare. Innalzare il cantico. Iniziare a pregare”63.
       C’è il cactus del garambullo, che non conosciamo, come non conosciamo Gordon Strom, attivista ucciso64. Ci sono gli alberi di ceiba, o kapok: “Alla deriva. Tronchi di kapok, /poca cosa, /spinosi e senza foglie/ per l’uragano di settembre”65, come il corpo di Berta Cáceres e degli altri attivisti uccisi per difendere il fiume.
       C’è la quercia di palude, “una semplice pianticella/comprata in un vivaio/fuori città”, ricordo d’infanzia66.      

Berta Cáceres

Della caduta e della separazione

       Sfogliando queste pagine ci imbattiamo molte volte nel medesimo senso di perdita, di fallimento, di cedimento spirituale e culturale, accaduto sotto il peso schiacciante della lusinga del potere. In ben due poesie gli autori consegnano all’immagine mitica e splendente della moneta il compito di esprimere questa fatale corruzione, questo innaturale tradimento con il quale l’uomo ha preso congedo da se stesso, dalle proprie radici, dai propri antenati, dalla natura, barattandoli in cambio di danaro.
       “Ho in mano una falsa moneta” – scrive Las Gustav Andersson – “il mondo era trasparente/quando non c’eravamo”67. Gli fa eco la voce di Horacio Benavides, novello Gilgamesh, che si tuffa “nell’acqua chiarissima” per afferrare la moneta che luccica tra i sassi e così facendo ferisce la limpidezza dell’acqua, ne contamina la vita68.
       Juan Manuel Roca dipinge invece la scena di una spoliazione apparentemente innocua ma dalle pesanti ricadute, non solo simboliche ma anche concrete. Racconta infatti del pittore cortigiano che obbedisce all’ordine del “sobrio imperatore” “[…] di cancellare dal quadro una cascata, / Il gorgoglio incessante gli turbava il sonno”69.
       I nostri antenati e il loro sacro rapporto con la natura sono diventati “Essi, loro i pronomi della lontananza”70.

Della casa

Infiorescenza maschile. Ceratonia siliqua (Carrubo). Foto di © G.B. Pau

 

A colui che mi vuole Poeta (M.V.)

una foglia 

granata
carruba
pistacchio
colori maturi
punta di aldilà
piccole pozzanghere d’infanzia

terreno maturo
pozzanghere d’infanzia
sprazzo di aldilà

terreno maturo
sprazzo di aldilà
e segreti d’infanzia

terreno in sangue maturo
piccole pozzanghere d’infanzia viva
e già uno sprazzo di aldilà

terreno maturo
pozzanghere d’infanzia viva
e già
uno sprazzo d’acquadilà
[…]”

Grazia Bernasconi-Romano, Effimeri, in Strazzabosco (a cura di) op. cit.

Oikos è una casa in muratura, dove ci ripariamo noi umani, circondandoci di oggetti amici, “una casa sconnessa dalle cantine ai camini, fatta di piccoli balconi e spifferi, con una grande finestra panoramica, intonata al pergoletto ricamato: un fiore appena sporcato dal continuo scorrere dei secoli”71.

Oikos è “l’affumicata cucina” con le sue “Vecchie pentole a riposo da sentenze e profumi”, con “Piatti e tazze scheggiati dal costante tintinnio dell’uso/ Tazzine sulla parete come domande appese”72.

Oikos è quegli oggetti della cucina, cose usate per accompagnare la vita, non per consumarla ma per nutrirla, in un’usura senza bugie, dove si sente l’eco del tocco di mani e dita indaffarate.

Oikos è una biblioteca piena di libri: “santa tenerezza a inquietante distanza/il mondo recalcitrante alza lo sguardo/la parola chaos in caldeo/significava “senza una biblioteca”73.

Oikos è il ricordo dell’infanzia riflesso su una pozzanghera. La cantilena del tempo e la nenia dei suoi frutti74.

La natura della parola e la parola della Natura

Il bosco di Troina (Parco Nazionale dei Nebrodi, Sicilia) sottratto alla criminalità e ritornato patrimonio della collettività

Chi sono io per parlare
in nome degli alberi e delle
rocce, per essere la bocca
del vento e dell’acqua,
per divenire la voce che chiama nel deserto
in nome delle creature alate
e dei quadrupedi,
per essere un profeta.
Io. Uno. Minuscolo.
Io che mando a memoria ogni giorno le mie
Dimensioni
che cerco il mio posto
nell’il-
limitato universo chi
io”

Adi Wolfson, Chi sono io75, in Strazzabosco (a cura di) op. cit.

       La relazione tra natura e parola è intimamente connessa con il diritto dell’uomo a parlare della natura o in vece della natura. La poesia sboccia nella parola che fa professione di umiltà di fronte al creato. “Che fine hanno fatto i limoni goethiani” si chiede Ennio Cavalli76.
        “Peccato/che non si scrivano più poesie con la piuma di uccello” gli fa eco Erik Ondrejička, svelando il segreto perduto: quello primigenio dell’unità tra natura e cultura77.
        “Nessuno scrive poesia in posti così./Che senso ha ora ciarlare del trionfo/Dello spirito sulla materia”. […] /Silenzio./Salvo il fruscio di un crollo/nella calotta di ghiaccio/della Groenlandia occidentale” – scrive Elad Zeret, cogliendo tutto lo smarrimento della parola di fronte alla catastrofe.78
        “Di tutte queste righe scritte, di tutte queste righe sparite, / è rimasta soltanto una parola:/Hiroshima! / Hiroshima non si cancella dalla pagina bianca / Hiroshima resta come una macchia mostruosa sulla pagina bianca” scrive Pierre Villebramar.79
       Forse solo la fragranza concreta e intraducibile del dialetto, non-lingua minoritaria magistralmente maneggiata da Luciano Cecchinel, riesce ad esprimere con esattezza quell’oscillazione pudica tra la necessità di dire la natura e il percepirsi inadeguati a farlo con lingua umana, in bilico tra il regno dell’al di qua e quello ineffabile dell’al di là della Natura.

Talpói e salez che i trema
arjentadi fa spiriti vèci,
canèle e fior de slavaza
fa lumin su rise
de candelier inpizadi,
aqua che la canta e la slus
fa de ’n benedir
cévet e cet in tra mèz.

Sentir che de no poder dir de oialtri,
no l’era, nò, lengua
par an òstro èser fa da par de là…
e ’l me no rivar de cégnerve
fa par aqua te i stor che pian pian,
propio parché l’òstro posto
no se podése dir co parole,
la creséa sote i pié e la me fea scanpar.

Sol che a pensar de ’nòstro no èser par noi
pose dir de oialtri
fa de tanti mistri de inpromese
che de òlta le se sfanta.
Pèrs par pèrs
a la fin se pol rivar
de dir anca al masa
fa de ’n mòrt dopo ’l so funeral.

O che no sie ’n òstro
no poder èser de par de qua
e che sie mi invenze
an s-ciant par de là?
E a la fin sto no poder
cofà par stravès an calif fis
an sovégnerme e ’n far penitenza
par òci, nas, pèl, reje e lengua pasade?”80

La poesia come parola delle minoranze

Solo quando si sarà tagliato l’ultimo albero,
solo quando si sarà avvelenato l’ultimo fiume,
solo quando si sarà pescato l’ultimo pesce,
solo allora,
l’uomo bianco scoprirà che i soldi non sono commestibili.
Profezia del popolo Cree (citata in La costa delle lucciole di Raquel Lanseros in op. cit.)

       In quest’antologia si canta il popolo dei Nukak: “Nomadi, /attorcigliati agli alberi,/proprietari di tutta la ricchezza e dei segreti,/guardiani di piante, di pene e di sussurri”.81
       Si cantano le genti mazahua, indigeni del Messico, ridotte in povertà: “La vergine, un’indigena mazahua, chiedeva l’elemosina per strada”.82
       Si canta la resilienza del popolo dei Lenka, indigeni discendenti dai Maya, e della sua pasionaria, Berta Cáceres.83 Si canta la gente dei Wixárika, discendente dagli antichi aztechi e depositari dei segreti del cactus-hikuri.84 Si celebra la saggezza dei Cree, popolo di indiani nordamericani, sterminati dagli Europei.85

Dei senza casa, morti in mare o in altri luoghi

Non posso più vedere il mare senza pensare al suo ventre gonfio
Malato come il ventre di una vacca
Pieno di fili e di tonnellate di plastica

Non posso più vedere il mare senza constatare che ha perduto il suo blu
Che tonnellate di petrolio l’hanno dipinto di nero
Senza immaginare i corpi in decomposizione dei migranti
E degli altri annegati della vita
Il mare, cimitero senza lapidi né i mormorii delle preghiere
Magazzino dei rifiuti del mondo […]

Non posso più vedere il bosco senza sognare cos’è stato
Gli alberi felici che si parlano quando scende la sera
Gli uccelli che vi trovano il loro nido e che dormono senza far rumore
Tutto questo prima dello sradicamento
Prima del fuoco eterno come nel Libro […]

Non posso più vedere il deserto senza contare gli scheletri lasciati
dalle carovane della disperazione

Non posso più camminare sulla terra senza sentirmi colpevole
Sono un uomo e ne ho vergogna […]

Tahar Ben Jelloun, La natura assassinata, inedito, in Strazzabosco (a cura di) op. cit.

       “Come sarebbe bello che anche da noi fossero i poeti a investire l’insediamento del presidente della Repubblica. Quando la democrazia si scopre malata dovrebbe trovare la sua cura nella poesia” ha scritto Cosimo Damiano Damato, nel suo articolo La democrazia malata va curata con la poesia apparso nel quotidiano Domani  il 10 aprile 2021.

       Il riferimento è alla poetessa afro-americana Amanda Gorman che, in occasione dell’insediamento di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti d’America, è stata invitata a declamare i suoi versi.
       Come sarebbe bello se anche in Europa i poeti venissero invitati nelle piazze a leggere ad alta voce i loro versi di gioia, invettiva, rabbia, pace. Come sarebbe bello se le piazze li eleggessero a profeti, ispiratori, custodi della parola politica.
       Qui in Italia qualcosa di molto piccolo eppure di potenzialmente molto grande sta accadendo: le poesie di quest’antologia stanno venendo lette ad alta voce non dai politici. Non ancora. Ma dalle persone: insegnanti, attivisti, studenti.
       Forse è il segnale che l’era della poesia (e della gentilezza) si sta insediando tra noi.

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Note
1. Amitav Gosh, La grande cecità, pag.14, Neri Pozza Editore, 2017
2.
 Amitav Gosh, pag.17, op. cit.
3. Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, pag. 495, Adelphi Ediizoni, 2006
4. Filippomaria Pontani, Alberto Camerotto, PREMESSA in Oikos. Poeti per il futuro, pag. 22, Mimesi Edizioni, collana Classici Contro, 2020
5. Gregory Bateson, pag. 504, op. cit.
6. Stefano Strazzabosco, Prefazione, pag. 26, in Strazzabosco (a cura di) op. cit.
7. Antonio Alleva, DOLOMITI UNESCO, E CASTELDACCIA, in Oikos. Poeti per il futuro, pag. 22, Mimesi Edizioni, collana Classici Contro, 2020
8. Brian Johnstone, (Scozia, Regno Unito) DOGGERLAND, in Strazzabosco (a cura di), in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
9. Valerio Magrelli (Italia) LA TERRA DEI FUOCHI in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
*
10. Judith Taylor (Scozia, Regno Unito) LYONESSE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
11. Jean-Pierre Villebramar (Francia) PACIFICO NORD, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
12.  Ming Di (Cina / USA) L’ISOLA DI ZHONGBAO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
13.  Marco Munaro (Italia) CARPANEA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
14.  Samir Delgado (Islas Canarias, España / México) POEMA DE NAVIDAD / JOSEPH BRODSKY EN VENECIA; Maurizio Casagrande (Italia) OMO, STA’ TENTO!/ MEMENTO, HOMINE!, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
15. Antonio Alleva, (Italia) DOLOMITI UNESCO, E CASTELDACCIA, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
16. John Barnie (Galles, Regno Unito) IL FIUME SCORRE LENTO QUI, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
17. Maurizio Casagrande (Italia) OMO, STA’ TENTO!/ MEMENTO, HOMINE!, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
18. Pierre Chappuis (Svizzera) SULL’ALTURA, SALVE!, In Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
19. Kathleen Jamie (Scozia, Regno Unito) MERLO, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
20. Rita Dahl (Finlandia) LA SARDEGNA DEI SOGNI, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
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21. Nicola Gardini (Italia) LA DEA, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
22. Agustín Jiménez (México) TRES FRAGMENTOS, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
23. Lorna Shaughnessy (Irlanda) GLI ALBERI TESTIMONI, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
24. Jerker Sagfors (Svezia) GLI UCCELLI STANNO LASCIANDO I NOSTRI CORPI, in Strazzabosco ( a cura di), op.cit.
25. Lasse Söderberg (Svezia) SUL FIUME PARANÁ, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
26. Nelvia Di Monte (Italia) FIUME D’ORIENTE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
27. Christie Williamson (Scozia, Regno Unito) PREZZO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
28. Cyril Wong (Singapore) KOTA TINGGI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
29. Kathleen Jamie (Scozia, Regno Unito) MERLO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
30. Marjorie Evasco (Philippines) IS IT THE KINGFISHER?, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
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31. Tsuriel Assaf (Israele) MA GLI ALBERI E LE TARTARUGHE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
32. Daniela Attanasio (Italia) NEL TEMPO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
33. Sauro Bartolozzi (Italia) REQUIEM, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
34. Maria Borio (Italia) UN MILLENNIO DI PRIMAVERA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
35. Anna Elisa De Gregorio (Italia) APERTURA D’ALI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
36. Renzo Favaron (Italia) NEL CONTINENTE NERO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
37. Alessandro Fo (Italia) ESSERI UMANI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
38. Raquel Lanseros (Spagna) LA COSTA DELLE LUCCIOLE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
39. Goro Takano (Giappone) BRUCO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
40. Francesca Gargallo (Italia / Messico) RESISTENZE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
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41. Paolo Lanaro (Italia) VERSI SULLE ULTIME VOCI DELL’ALTOPIANO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
42. Carlos José Pérez Sámano (Messico / USA) IL SOPRAVVISSUTO DAI CAPELLI BRUCIACCHIATI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
43. Muhammad Samad (Bangladesh) ALBERO: OTTO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
44. Vito Santin L’INGRESTA NO CANTA PÌ/ L’AVERLA NON CANTA PIÙ, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
45. Paolo Maccari (Italia) LUNGARNO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
46. Henry Alexander Gómez (Colombia) SUL DORSO DELLA VACCA IL VENTO TESO IN UN SUDARIO DI SPUME, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
47. Ángela García (Colombia / Svezia) MONOLOGHI DELL’ALBERO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
48. Sebastiano Aglieco (Italia) DIARIO MINIMO DEGLI ALBERI: IL MAESTRO AI BAMBINI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
49. Fabio Scotto (Italia) IL PICCOLO SIRIANO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
50. J. B. Roth (USA) DURANTE LUNGHE FORTI PIOGGE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
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51. Claudio Pasi (Italia) AL LAGHÈTT, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
52. Xiao Xiao (Cina) L’INTELLIGENZA DELL’ACERO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
53. Luciano Cecchinel (Italia) DA PAR DE LA O DA PAR DE QUA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
54. Antonio Alleva, (Italia) DOLOMITI UNESCO E CASTELDACCIA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
55. Renzo Favaron (Italia) NEL CONTINENTE NERO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
56. Italo Testa (Italia) AILANTI, ALLE VOSTRE FALCI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
57. Umberto Fiori (Italia) RECINTO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
58. Loredana Bogliun (Croazia-Italia) IL MANDORLO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
59. Verónica Aranda (Spagna) DI SETTEMBRE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
60. Maria Borio (Italia) UN MILLENNIO DI PRIMAVERA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
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61. Nicola Gardini (Italia) LA DEA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
62. Jerry Garcia (USA) SULLA STRADA DEL SOLSTIZIO D’ESTATE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
63. Agustín Jiménez (Messico) TRE FRAMMENTI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
64. Alfredo Lozano (Messico) NON CONOSCO IL GARAMBULLO…, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
65. Francesca Gargallo (Italia/Messico) RESISTENZE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
66. John Taylor (USA / Francia) LA QUERCIA DI PALUDE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
67. Las Gustav Andersson (Svezia) LA FALSA MONETA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
68. Horacio Benavides (Colombia) YO ME ZAMBULLÍA…/IO MI TUFFAVO, in Stefano Strazzabosco (a cura di) op.cit.
69. Juan Manuel Roca (Colombia) TESTAM ENTO DEL PITTORE CINESE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
70. Matteo Pelliti (Italia) ESSI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
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71. Luciano Caniato (Italia) CLIP, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
72. Armando Romero (Colombia) BREZZA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
73. Anne Waldman (USA) PER PATTI SMITH, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
74. Grazia Bernasconi-Romano, Effimeri, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
75. Adi Wolfson (Israele), CHI SONO IO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
76. Ennio Cavalli, NATURA MORTA, Oikos. Poeti per il futuro, Mimesis Edizioni, 2020 (tratto da Se ero più alto facevo il poeta, 2019).
77. Erik Ondrejička (Repubblica Ceca) CON LA PIUMA DI UCCELLO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
78. Elad Zeret (Israele) L’ORSO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
79. Jean-Pierre Villebramar (Francia) PACIFICO NORD, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
80. “Pioppi e salici che tremano/argentati come spiriti antichi, /cannelle e fiori di ninfea/come lumini su scie/di candelieri accesi,/acqua che canta e riluce/come di un benedire/tiepido e quieto in mezzo.//Sentire che non si poteva dire di voi,/non c’era, no, lingua/per un vostro essere come di per di là…/e il mio non arrivare a tenervi/come per acqua nei grovigli di canneto che pian piano,/proprio perché il vostro posto/non si potesse dire a parole,/cresceva sotto i piedi e mi faceva fuggire.//Solamente pensando a un vostro non essere per noi/posso dire di voi/come di tanti ministri di promesse/che all’improvviso si dissolvono./Perso per perso/finalmente si può riuscire/a dire anche il troppo/come di un morto dopo il suo funerale.// O che non sia un vostro/non poter essere di per di qua/e che sia io invece/un poco di per di per di là ? E infine questo non potere/come attraverso una foschia densa/un sovvenirmi e un far penitenza/per occhi, naso, pelle, orecchi e lingua trapassati?”, Luciano Cecchinel (Italia) DI PER DI LÀ O DI PER DI QUA, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
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81. Yirama Castaño Güiza (Colombia) LA TERRA DEI NUKAK, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
82. Homero Aridjis (Messico) L’ULTIMA NOTTE DEL MONDO, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
83. Francesca Gargallo (Italia / Messico) RESISTENZE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
84. Agustín Jiménez (Messico) TRE FRAMMENTI, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.
85. Raquel Lanseros (Spagna) LA COSTA DELLE LUCCIOLE, in Strazzabosco (a cura di), op.cit.

Foto di copertina
Luigi Viola, Vanishing landscape between land and water: Dead Sea (Mar Morto), laserprint on glass 30×45 cm, 2012  

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Anna Trevisan è blogger, giornalista pubblicista e mediatrice interculturale. Si è laureata in filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha conseguito un Master in Comunicazione a Il Sole 24 Ore a Milano e un Master in Studi Interculturali all’Università degli Studi di Padova. Per diversi anni ha collaborato con la Biennale di Venezia, nei settori Danza, Musica, Teatro, Arte e Architettura. Dal 2006 si occupa della “questione migrante”, insegnando italiano L2 ai bambini e agli adulti stranieri. In passato ha lavorato come operatrice di sportello dell’Ufficio Immigrati.
Scrive per il suo blog “Multiculti” e per il blog di danza “ABCDance”, del quale è co-fondatrice. Collabora con il blog “Cult Tv Live Reviews” ed è redattrice della rivista Finnegans.
Ha pubblicato: Un treno nella storia. La Grande guerra in Valsugana. Quattro racconti, Platform Zed, 2018; La bicicletta in Dammi Cinque, Tracciati Editore, 2017; Interensemble 3.0. Il punto sui trent’anni, catalogo (AA.VV. a cura di), Cleup Editrice, 2015; In viaggio verso dove in Tre d’amore, Tracciati Editore, 2014; Album Groggia, catalogo (Anna Trevisan, a cura di), Municipalità di Venezia, 2010.

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