RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

L’isola di Prometeo 3 – ESPAÑA EN EL CORAZÓN – Festival Luigi Nono alla Giudecca 2019 (Terza edizione)

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L’isola di Prometeo 3
ESPAÑA EN EL CORAZÓN
 Festival Luigi Nono alla Giudecca 2019 (Terza edizione)
(11.12.13 ottobre)

 

di Nicola Cisternino

           Con il titolo di España en el corazón, il primo dei Tre epitaffi per Federico Garcia Lorca composti tra il 1951 e il 1953, Venezia e la Giudecca si è rianimata nella musica e nel pensiero del suo cantore universale, Luigi Nono, con la terza edizione del Festival a lui dedicato dalla Fondazione Archivio Luigi Nono, organizzato da Venerdi 11 a Domenica 13 ottobre con conferenze, ascolti acusmatici, concerti e mostre documentarie in varie sedi dell’isola, dalla sede della Fondazione Archivio, al CTR nell’Ex Convento SS. Cosma e Damiano, allo spazio bocciofila, alla chiesa del Redentore. Titolo eloquente che rimanda ad un celebre inno alla guerra di Spagna di Pablo Neruda che Nono adottò per un omaggio al ‘martire’ poetico e civile della guerra franchista, García Lorca, cantore da allora sempre presente nell’universo poetico di Luigi Nono.

Nuria Schoenberg Nono e Dino Villatico all’inaugurazione del Festival

             «Fu la compositrice brasiliana Eunice Catunda – esordisce Nuria Schoenberg Nono, instancabile organizzatrice assieme alla figlia Serena Nono e moglie del compositore, all’incontro di apertura – a far conoscere a Nono l’opera di Garcia Lorca», in quel contesto vitale di ricostruzione musicale e umana del dopoguerra che fu il Corso di direzione d’orchestra tenuto da Hermann Scherchen a Venezia nell’estate del 1948 e per il quale arrivarono in laguna, e precisamente al Lido, molte giovani promesse europee ma anche latino-americane di quella che di li a qualche anno sarebbe divenuta l’Avanguardia musicale di Darmstadt e di tutta la musica del dopoguerra. Dino Villatico, noto musicologo di origini argentine che della musica e letteratura spagnola e latino-americana è raffinato studioso e cultore, ha introdotto panoramicamente al mondo letterario e poetico spagnolo che tanto ispirò Nono, al quale sono seguiti nel corso delle giornate, significativi ascolti acusmatici delle opere di Nono ispirate alle tematiche poetiche e civili latino-americane. Ascolti particolari, quelli acusmatici, ovvero preziose ricostruzioni filologiche su registrazioni originali curate dal compositore con diffusione spazializzata a più vie curate da Alvise Vidolin, storico collaboratore di Luigi Nono nelle sue emancipate ricerche del suono nello spazio, e dal musicologo Veniero Rizzardi.

Virgilio Sieni e la bambina in Ascolto con il corpo

                     Di ritorno, dopo il gran successo delle passate edizioni, gli originali interventi coreografici con Virgilio Sieni in cui l’Ascolto con il corpo è stato ‘messo in scena’ con danzatori occasionali su La lontananza nostalgica utopica futura del 1988, una composizione per violino ‘caminantes’ e live electronicis introdotta da Stefano Bassanese, mentre in ambito teatrale l’Accademia Teatrale Veneta ha visto diversi giovani attori interpretare testi poetici spagnoli messi in musica da Nono con la guida di Jacopo Zerbo. Particolare in questa edizione lo spazio dedicato ai laboratori didattici su Lorca, Nono e la Spagna, realizzati a partire dai materiali originali del compositore presenti nell’Archivio e coordinati da Paolo Dal Molin, laboratori che hanno visto la partecipazione di diversi docenti e studenti degli istituti superiori ‘Benedetti’ e ‘Tommaseo’ di Venezia e gli allievi dell’Istituto Comprensivo Luigi Nono (dedicato al compositore) di Mira-Gambarare, in uno spirito di diffusione dell’opera e del messaggio umano di Nono nelle nuove generazioni e in nuovi contesti formativi.

Studenti-allievi dell’Istituto Comprensivo “Luigi Nono” di Gambarare-Mira, con al centro Nuria Schoenberg Nono

             Preziosa la sezione espositiva, da sempre presente nella programmazione del Festival Nono, in questa edizione la mostra El circulo de piedra con l’esposizione di una rara collezione litografica di quindici opere di artisti contemporanei del 1970 curata da Carlos Franqui, il poeta cubano amico fraterno di Nono che in quegli anni si era sempre più allontanato dalla Cuba di Fidel, e di cui Nono aveva utilizzato i testi nella sua composizione Y entonces comprendió.
Straordinaria la chiusura del festival con l’esecuzione del terzo ‘caminantes’ di Luigi Nono, Hay que caminar soñando per due violini, del 1989, nelle suggestive e spazialmente efficaci architetture risonanti della chiesa del Redentore in cui la musica spaziale di Nono, nei suoi complessi risvolti acustici, sembra esserci nata oltre che ispirata. L’ultima pagina composta nella scrittura, quella di Nono, di cui abbiamo ascoltato una mirabile interpretazione di efficace adesione poetica ad opera di due giovani violinisti del Conservatorio ‘G. Verdi’ di Torino, Giulia Pecora e Li Xinya della classe di Giacomo Agazzini. Una pagina mirabile e distillata Hay que caminar soñando che chiude il celebre ciclo dei tre caminantes  (Caminantes… Ayacucho e Non hay caminos. Hay que caminar… Andrej Tarkovskij) degli anni ottanta ispirati a Nono dalla celebre iscrizione del chiostro francescano di Toledo, Caminantes no hay camino hay que caminar; un’effige in cui è incarnato l’intero viaggio nel suono del compositore veneziano nel suo radicale e quasi unico – nel panorama musicale contemporaneo – affondamento alle radici delle possibilità uditive e di pensiero dell’esperienza sonora con la musica, al limite di quel ‘Quasi nulla ascoltare’ degli infiniti possibili bruniani nella tragica emergenza dell’umano oggi, come ieri, come Massimo Cacciari, fraterno compagno d’arte e di vita del compositore, ha magistralmente introdotto all’esperienza dell’ascolto, rendendo ancor più unico e mirabile l’evento.

Concerto al Redentore. Da sinistra Serena Nono, Li Xynia, Nuria Schoenberg Nono, Silvia Nono, Giulia Pecora

 

Il Canto di Victor Jara (1974)
di Luigi Nono

Dopo aver combattuto, insieme agli studenti dell’Università Tecnica di Stato, contro i militari cileni, il cantante Victor Jara venne arrestato e rinchiuso nello stadio nazionale di Santiago del Cile, trasformato in campo di concentramento per migliaia di patrioti. Testimoni di quei giorni riferiscono sull’eroico comportamento dell’intellettuale comunista: egli sopportò torture senza cedere all’invito a tradire. In quei truci giorni nasce questa canzone che bolla la terroristica maschera del fascismo e canta il sangue del Presidente che colpisce come nuovamente il nostro pugno colpirà. Il testo di questo canto restò incompiuto. Le bestie assassinarono il poeta, coscienti della forza che i suoi versi emanano. Il fascismo massacrò il creatore, come massacra tutto ciò che ispira vita e ribellione. Malgrado ciò la giustizia del popolo cileno, nel suo giorno, farà piazza pulita degli assassini di Victor Jara e di migliaia di rivoluzionari massacrati dalla giunta.

                Questa la presentazione con cui il Verde Olivo, il settimanale delle Far (Forze armate rivoluzionarie cubane), pubblica l’inedito del compagno musicista Victor Jara.
Victor: una delle voci cilene più cariche di veemenza contro i violentatori di diritti umani e sociali di operai e contadini minatori; più modulate di sferzante ironia contro la adagiata vita consumistica dei predoni dei quartieri alti di Santiago (ove ebbero luogo dimostrazioni eversive della ricca borghesia
«con las cazuelas»); più vibrante di partecipazione alle speranze, alle conquiste del governo di Unidad Popular, di esaltazione nella lotta per la comune libertà latino-americana.

Víctor Jara. Photo:* www.letras.com Photo: Granma


Anche in Victor Jara, come in molti intellettuali cileni, produzione, azione culturale e lotta politica, nei suoi vari momenti, erano strettamente vincolati, in dialettico operare. Così, nei suoi ultimi giorni, scrisse l’ultimo canto (l’assassinio del compagno Salvador Allende, il terrore fascista scatenato e la sicurezza «nel nostro pugno che colpirà nuovamente»). E nello stesso tempo partecipava alla dura resistenza del popolo cileno. Esprimeva ancora una volta la sua fantasia creatrice, e nello stesso tempo, concretizzava quanto disse a L’Avana nel settembre del ’72, riferendosi al proprio paese: «Un giorno dovremo cambiare la chitarra con il fucile».
Victor Jara, il cui canto è tra i più diffusi e amati nel Cile e nell’America Latina.

Il folksinger cileno Víctor Jara in una fotografia non datata fornita dalla Fondazione che porta il suo nome (El País)

La lunga storia delle lotte operaie, minerarie, contadine cilene (massacri subiti, conquiste sociali realizzate), cultura in se stessa, ha originato una vasta produzione di cultura, che si ricompone in quella più vasta, di lotta, dei popoli latino-americani: Cile come Bolivia, come Portorico, come Uruguay, come Brasile, come gli altri paesi duramente repressi, violentemente sfruttati, continuamente in ribellione.
Nella realtà di duro scontro dei loro popoli, per i quali Cuba socialista è viva indicazione, operano a vari livelli e in diversi campi intellettuali, portavoci, interpreti e creatori. Essi sviluppano lo studio e l’analisi (loro origine storica da liberare dall’influenza colonialistica) unitamente a ricerche di nuovi mezzi tecnico-espressivi, che attualizzano la loro capacità creativa.
Da Mart
í, da Guillén, al nuovo cinema cubano, da Emilio Recabarrén a Violeta Parra alla nuova cultura cilena (limitandomi a esemplificare solo due paesi latino-americani). In Cile soprattutto negli anni dell’Unidad Popular v’è stato un prorompere di nuova cultura: cinema (Miguel Littín), pittura (fino all’originale esperienza di pittura murale delle brigate Ramona Parra e “Inti” Peredo), letteratura e musica. In Cile la nuova canzone politica, appunto da Violeta Parra in poi.

Violeta Parra

Parole di Victor Jara:

La canzone politica sempre fu presente in Cile, unita al contadino al minatore agli umiliati. Canzoni che esprimevano le loro sofferenze, le loro tristezze, la loro condizione di sfruttati.
Violeta trascorse vent’anni nelle campagne nelle miniere con le popolazioni del Sud, convisse con i
mapuche, con artigiani, con pescatori. Questa è la base della motivazione storica tanto forte nella sua musica. Violeta con la sua conoscenza profonda del popolo e del suo folklore, creò una nuova canzone molto poetica e soprattutto autenticamente popolare. Violeta indicò la strada e la sua canzone fu definitiva per i giovani. Durante la campagna per la Unidad Popular, questa canzone si espresse pienamente. I suoi temi erano quelli del popolo: antimperialismo, antioligarchia, contro l’ingiustizia e lo sfruttamento.

E nacque in Cile il movimento della nuova canzone in netta opposizione al cosiddetto neofolklore industrializzato da case discografiche e usato dalla borghesia reazionaria. Vennero create canzoni, a contatto diretto e vivo con la massa, da cantanti come Isabel e Angel Parra (figli di Violeta, la prima ora esule a Cuba, il secondo, sottoposto a torture e in grave pericolo di vita, rinchiuso in un campo di concentramento del Nord). Gitano Rodriguez, Payo Grondona (dirigente sindacalista del Mapu, ora in Argentina), Luis Advis (autore tra l’altro della forte cantata popolare Santa Maria de Iquique sullo sciopero e sul massacro di 3.600 minatori da parte dell’esercito avvenuto nel 1907 nella stessa città), Patricio Manns, Fernando Ugarte, e gruppi come Inti-Illimani (ora in Italia) e Quilapayún (pure ora in Europa). Tutti loro parteciparono al processo di trasformazione sociale indicato dal governo di Salvador Allende, e denunciarono la penetrazione culturale dell’imperialismo, il suo colonialismo culturale.

Salvador Allende

E con tutti loro Victor Jara, nato nel 1938 a Chillán nel Sud. Dalla madre contadina e dal suo contesto sociale ricevette la prima diretta influenza del folklore locale. Si laureò nella scuola di teatro dell’Università del Cile in Santiago. Fu direttore consigliere del gruppo Quilapayún. La sua attività lo portò spesso fuori dal proprio paese e anche in Europa. Partecipò a vari incontri festival della canzone politica. Nel 1969 Jara fu a Helsinki per l’incontro mondiale con il Vietnam. Poi in Urss, in Inghilterra, nella Repubblica Democratica Tedesca, a Cuba in marzo e in settembre del ’72.

Incontrai Victor per la prima volta nell’agosto del ’67 a Santiago. E subito si stabilì una forte amicizia solidale. Con Victor e altri compagni andammo in un lungo viaggio notturno in autobus, al Sud, alla miniera di Lota Schwager. Colloqui con i minatori, sindacalisti e compagni, tutta una giornata, ci rivelarono le durissime condizioni di vita e di lavoro, le loro aspre lotte (era il tempo del governo Frei). Miserrime case di legno con unica stanza per famiglia di minatori, prive di servizi sanitari, massima percentuale di mortalità infantile. E questo mentre il profitto privato era altissimo, e la miniera, tra le più ricche dell’America Latina, produceva l’85% della produzione nazionale di carbone, con 9.800 minatori. Conversazioni, discussioni, dati politici ed economici si alternavano con forti canti di Victor, su richiesta dei minatori stessi. (Tornai a Lota nel maggio del ’72: la miniera era stata nazionalizzata nel gennaio del ’71, la produzione era aumentata, la gestione era in mano ai minatori stessi e a tecnici del governo: l’intendente generale era Isidoro Carrillo, prima semplice barretero, lavoratore con il piccone in miniera, forte tempra di sindacalista; venne assassinato tra i primi dai militari cileni).

Il gruppo musicale Quilapayún

Ritrovai Victor a Santiago in una manifestazione di grandissimo entusiasmo in un cinema; cantava con il gruppo Quilapayún, i canti erano tutti nuovi, impegnati nella prospettiva comune verso il socialismo. Victor, come sempre allegro gioioso veemente; grande interprete di se stesso e della stessa realtà nuova cilena.
Poi all’incontro di musica latino-americana a L’Avana nel settembre del ’72.
 Discussioni, informazioni, lavoro comune con grande fervore politico nel clima di cosciente straordinaria allegria dei compagni cubani. V’era riunito il meglio della canzone politica latino-americana, da Daniel Viglietti (uruguayano) a Payo Grondona a Isabel Parra
(cileni) a Los Olimareños a “Ducho” Gutierrez (uruguayani) e i giovani creatori della nuova canzone cubana, e insieme compositori elettronici. Un incontro di grandissima amicizia, di interessi comuni, reso ancor più impegnato per l’intelligente umanità della compagna Haydée Santamaría, presente ai lavori.
Di Victor Jara dicono che, prigioniero nello stadio nazionale di Santiago, si mise a cantare. Subito gli troncarono i polsi, lo colpirono alla testa e lo lasciarono sanguinante a lungo. Poi l’assassinio.
Ma i suoi canti continuano, ora più di prima veri inni di lotta per i lavoratori del salnitro, del carbone, del rame: di tutti coloro insomma che stanno organizzando la resistenza unitaria per liberare il Cile dai criminali usurpatori della libertà – interni (militari e civili) ed esterni (Usa, Cia, il capitale nordamericano) – per riprendere più decisi il cammino verso il socialismo.

“Mi canto es de los andamios/para alcanzar las estrellas/que el canto tiene sentido/cuando palpita en las venas/ las verdades verdaderas…” (Il mio canto è delle impalcature/ per raggiungere le stelle/ perché il canto ha senso/ quando palpita nelle vene/ le verità vere…). Victor Jara


Festival Luigi Nono alla Giudecca

ESPAÑA EN EL CORAZÓN

 

di Dino Villatico

               Sono stato coinvolto nella manifestazione, invitato a inaugurarla insieme a Nuria Schoenberg Nono, e dunque le seguenti righe non vogliono essere una vera e propria recensione del Festival Luigi Nono alla Giudecca, giunto al terzo anno, quest’anno con il bellissimo titolo “España en el corazón”, ma voglio solo buttare giù una riflessione sulla musica ascoltata, sui commenti, le illustrazioni dei brani, il senso di questa musica, e della musica in generale, nel nostro tempo. Sarò, spero, scusato, se non scrivo perciò di tutto quanto è accaduto, si è ascoltato e discusso. Era, infatti, questo del senso della musica, della musica in sé e della musica nel suo tempo, della collocazione, cioè, della musica, dell’arte, nel proprio tempo, nella società del proprio tempo, un tema al quale Luigi Nono ha dedicato una vita. È stato anche bersagliato proprio per l’ostinazione con cui lo ha per così dire sfidato, con questo tema, il proprio tempo, sia come atto dello scrivere oggi, e dunque anche comporre, sia per il senso che la scrittura ha o deve avere in rapporto alla società nella quale si scrive. È stato per questo attaccato il suo impegno politico, attaccato soprattutto in Italia, paese, come si sa, dalle divisioni secolari, paese che non sa distinguere spesso il messaggio dell’artista dallo schieramento ideologico dell’artista.

Inaugurazione della terza edizione del Festival Luigi Nono alla Giudecca, con Nuria Schoenberg Nono e Dino Villatico

               La regina Elisabetta II d’Inghilterra ha nominato, molti anni fa – si era ancora in piena guerra fredda – Lady l’attrice Vanessa Redgrave, presidente del Partito Comunista Britannico. La regina apprezzava il suo talento, non perché ne condividesse lo schieramento politico, ma, perfetta cittadina del paese che ha inventato la democrazia moderna, perché sa distinguere il valore di un’artista dal suo impegno politico. Del resto, circa due secoli fa, Karl Marx e Giuseppe Mazzini, guarda caso, si sono rifugiati a Londra. In Italia no, non è così. Non è un caso che l’opera di Luigi Nono sia, ancora oggi, diffusissima in Europa e nel mondo, ammiratissima, eseguitissima, ma non così in Italia. Ricordo ancora la gazzarra alla prima di Intolleranza 60 al Teatro La Fenice di Venezia. Ero esterrefatto. “Vogliamo musica!” si gridava giù verso la platea dal loggione. Sembrava la scena iniziale del film Senso di Luchino Visconti, ma al posto dei volantini, volavano insulti.

 

               La musica, tuttavia, non c’entrava per niente. C’entrava, invece, il fatto che Luigi Nono fosse comunista, come lo era in Gran Bretagna Vanessa Redgrave, ma comunista appunto in Italia e non in Gran Bretagna. E indignava, inoltre, l’idea teatrale così operaista di Angelo Ripellino – forse il critico teatrale più illuminato che abbia mai avuto l’Italia, leggevo le sue critiche sull’Espresso con avidità, aspettavo l’uscita del settimanale per leggere Ripellino e Moravia, la sua scrittura faceva rivivere lo spettacolo, lo raccontava, la ri-rappresentava, esattamente come Moravia, scrivendone, faceva vedere il film prima di vederlo. Ripellino è stato, perciò, il mio maestro di scrittura critica, ma oltre che critico, era un grande uomo di cultura, amava Praga, la letteratura ceca, amava la lingua russa e la letteratura russa, e me l’ha fatta amare, devo a lui la conoscenza di Velimir Chlebnikov e di Marina Cvetaeva, oltre che, naturalmente, di Jaroslav Hašek. E poi c’erano, in quel memorabile spettacolo, sulla scena le incomprensibili macchie di Emilio Vedova, i suoi indecifrabili scarabocchi.

               Ecco, siamo venuti al punto: indecifrabili. Musica senza ritmo e senza melodia, azione senza capo né coda, scene che sono sgorbi di psicopatico. Solo un comunista può inventare qualcosa di così respingente e ripugnante. Che andasse in Russia, lo manderebbero in un gulag, perché, bisogna riconoscerlo, i comunisti russi che cosa è l’arte almeno lo sanno. Queste, più o meno, le esternazioni di allora. Non credo che da quei tempi l’Italia sia molto cambiata. Ancora, di qualcuno è più importante, più qualificante, conoscerne lo schieramento ideologico, invece che informarsi su ciò che veramente dice, scrive, fa. Da secoli: Dante fu mandato in esilio non per la sua poesia, ma per la sua appartenenza politica. E allora, nell’ultima serata del Festival, nella chiesa del Redentore, alla Giudecca, le parole di Massimo Cacciari ci arrivano chiarificatrici. Questa musica propone altro da ciò che cerca, da ciò che chiede il tempo in cui viviamo. Oggi si vuole l’immediato, si ubbidisce all’istante della percezione, non se ne cerca né il prima né il dopo, come se si vivesse in ciò che uno straordinario scrittore spagnolo, Miguel Ángel Hernández Navarro, chiama il presente continuo. Si vuole in altre parole l’emozione dell’istante, la scarica irriflessa della propria percezione, non importa conoscerne la natura, capirla, importa consumarla, digerirla: possibilmente cercarla solo se dà sensazioni di piacere, di godimento immediato.

Veniero Rizzardi e Massimo Cacciari alla Chiesa del SS. Redentore

               La musica di Nono invece è ostica, chiede riflessione, impone pensiero, chiede tempo, chiede di filtrare la percezione immediata tra le griglie lente del pensiero. Ma non perché sia una musica intellettualistica, aggiungo io, bensì perché tocca il nodo di ciò ch’è musica, di ciò ch’è l’esperienza musicale, in una parola, chiede che ci si disponga a penetrare fino in fondo l’esperienza dell’ascolto, la quale non è la semplice percezione del suono, non è l’udire in sé, ma la consapevolezza del senso che il suono acquisisce nella durata della sua percezione, del senso, cioè, che assume nel nostro pensiero quel determinato percorso temporale del suono. E allora i due violini di “Hay que caminar soñando” bene rappresentano all’orecchio interiore della mente la contiguità di spazio e tempo, la reciproca relazione, la reciproca modificazione, per cui il movimento spaziale dei suoni si fa percorso musicale. Bravissimi i due giovani Giulia Pecora e Li Xinyu, del Conservatorio Giuseppe Verdi” di Torino. Forse un po’ spiazzante la vastità della chiesa, dentro cui i due violini sembravano smarrirsi, i lunghi echi delle rifrazioni e delle risonanze accrescere lo smarrimento. 

               Il tema del Festival era, come suggerisce il titolo, il rapporto di Luigi Nono con la poesia di lingua spagnola. Avanguardie a confronto, ho intitolato la mia presentazione. Ma le serate sono stato introdotte dalla vedova di Luigi Nono, Nuria, figlia del compositore austriaco Arnold Schoenberg. Nuria Nono ha spiegato con parole chiare il senso del ricordo, della permanenza del ricordo, in questa musica, di questa musica. Il senso della sfida di Nono al proprio tempo. E dunque il senso del festival. Si sono così ascoltate alcune pagine composte da Nono dietro la suggestione, si direbbe quasi il suggerimento, o piuttosto l’enigma e l’intensità formale della poesia di lingua spagnola. La fascinazione subita dal compositore per una poesia che sembra di volta in volta reinventarsi il proprio linguaggio. Bellissima la ricostruzione di un evento irripetibile come “Y entonces comprendió,” del 1970, che nasce già durante l’esecuzione degli interpreti, attori e cantanti, dal loro lavoro di scavo nel suono della parola, lavoro non predeterminato da una partitura, ma affidato all’invenzione del momento, e poi riprodotto secondo il percorso di quell’invenzione, attentamente fissata nel programma dell’azione successiva degli interpreti. Perfetta, avvincente, quasi una nuova interpretazione, la ricostruzione e restituzione “acusmatica” di Alvise Vidolin, presentata con chiarezza da Veniero Rizzardi. Vidolin, insostituibile regista, al monitor di comando.

Concerto “Y entonces comprendió”, con Veniero Rizzardi (a sinistra) e Alvise Vidolin

              “Caminantes, no hay camino, hay que caminar”, (camminanti, non c’è cammino, c’è da camminare), iscrizione letta da Nono sul muro di una chiesa di Toledo, e ritrovata, variata, nelle poesie di Antonio Machado, è un po’ la linea guida. Il cammino della scrittura come specchio del cammino della vita. Ma la meta non è prefissata, il cammino indica una direzione, non una meta. Il lavoro dell’artista, come quello dell’uomo, nella società, non arriva mai a una vera fine, a una conclusione. Sembra che Beethoven, prima di morire, abbia dichiarato: mi sembra di avere appena incominciato, ho tante cose ancora da dire. La lezione di Nono non è diversa. Né diverso è il messaggio che assume dalla poesia spagnola. Sul camminare Antonio Machado costruisce tutta una poetica. Come Lorca nei romances e nelle canciones. Il gitano, suo modello, non ha stabile dimora, è viandante, nomade.

               Ma sarebbe lungo riferire di tutte le interessantissime e stimolanti manifestazioni – indimenticabile il lavoro con il proprio corpo e con il corpo di una bambina e di alcune donne del pubblico che Virgilio Sieni – troppo riduttivo definirlo coreografo – ha realizzato sulla traccia sonora di “La lontananza nostalgica utopica futura” (1988! trent’anni fa). L’ossimoro di un’utopia al contempo nostalgica e futura definisce bene il senso di questa musica: il percorso del tempo, attraversato dal suono, è, nell’ascolto, una proiezione di ciò che si vorrebbe, si dovrebbe forse essere, questa calma sussurrata, questo ripiegarsi della musica in sé stessa, questa percezione dell’impercepibile, e dunque dell’utopico, che ci fa scendere al nodo di noi stessi, a ciò che Aristotele chiamerebbe τὸ τί ἦν εἶναι, l’essere ciò che si era, e i latini hanno chiamato essentia, essenza, tramandandoci il vocabolo a tutta la filosofia moderna, ma in qualche modo anche fraintendendo la complessità dell’espressione aristotelica, ecco, quest’ossimoro è il nodo di tutta la musica di Nono: si ascolta – non si ode, ma si ascolta – proiettata nell’ascolto, l’essenza di ciò che dovremmo essere e non siamo. Se ci si riflette sopra un poco, l’atteggiamento di Nono non è poi tanto diverso da quello di Beethoven che fa intonare al coro finale della Nona Sinfonia “Sei umsclungen, Millionen” (siate intrecciati, milioni |di uomini|, abbracciatevi, milioni |di uomini|). O quando, nel Fidelio, fa arrivare il Governatore a salvare Florestano. Utopia della verità, della giustizia. Cose che non sono di questa terra, che non stanno in “nessun luogo”, ma che senza di esse lascia la terra infelice. Lo scrive già Dante in un bellissimo sonetto, “Se vedi li occhi miei di pianger vaghi”, in cui chiede a Dio di inviare sulla terra la giustizia: “ché sanza lei non è in terra pace”. E allora, perché Nono subisce questo richiamo duraturo, costante alla poesia di lingua spagnola?

 

               Cominciamo dal titolo del festival: “España en el corazón”, Spagna nel cuore, che è anche il titolo di una raccolta poetica di Pablo Neruda ispirata dai tragici avvenimenti delle guerra civile spagnola. La stessa che ispira il poeta peruviano César Vallejo a scrivere “España, aparta de mí este cáliz”, Spagna, allontana da me questo calice, e Picasso a dipingere Guernica. Non sono testi facili. Non è una pittura immediatamente intellegibile. Chi cerca l’immediatezza è servito: questa poesia, questa pittura, richiedono tempo, riflessione, pensiero. Agiscono sull’immediato degli avvenimenti, sull’évènementiel, come direbbe il grande storico francese Braudel, ma lo trascende, lo ripensa per farne il percorso interiore del pensiero che riflette sulla storia, sul tempo, sulla vita, sulla morte. L’impegno del poeta, del pittore, non si estrinseca in un manifesto, in un proclama, in uno slogan, ma elabora una scrittura, un disegno che alla complessità dei fatti, della realtà, faccia corrispondere non già una figura semplificata, ma la complessità analoga della scrittura, della pittura. In una parola: la complessità del linguaggio, sia esso logico verbale, musicale, pittorico. Perché – come sostiene Aristotele, e nessuno è riuscito finora a smentirlo – è solo attraverso il linguaggio che noi conosciamo il mondo. Ma allora, anche la musica, anche la pittura, sarebbero linguaggio? Solo in senso analogico. In quanto anche la musica, anche la pittura, più che linguaggio, sono pensiero, pensiero pittorico, pensiero musicale, non traducibili, però, se non per analogia, in pensiero logico, verbale. C’è un pensare musicale che non è il pensare del poeta o del filosofo, ma un’esperienza del mondo che si traduce in suono, anzi, più esattamente, un’esperienza del suono del mondo che si traduce in suono pensato, in un percorso logico, coerente, costruito, del suono, che non è il percorso della natura, ma il percorso del pensiero che lo costruisce.

               Ecco ciò che affascina Nono nella poesia spagnola. La costante attenzione al linguaggio, ai meccanismi del linguaggio, come se ogni volta che un poeta spagnolo scrive poesia riflettesse anche su come si scrive la poesia. Nella tradizione italiana manca, in genere, questa esperienza poetica, salvo forse in Dante e Leopardi, e pochi altri. Ma nella poesia spagnola questa riflessione è invece costante, si pensi solo a Góngora. Ma perfino nel fluviale, oceanico Lope de Vega (ha scritto più di 2.000 commedie, oltre a moltissime poesie, e poemi, poemetti, scritti vari) la riflessione sulla scrittura è continua, e non solo perché scrive una commedia su come si scrive una commedia (lo farà anche Goldoni), El arte nuevo de hacer comedias, l’arte nuova di fare commedie, ma perché i suoi personaggi sembrano non dimenticarsi mai di essere personaggi, di recitare la loro vita su una scena (qualcosa di analogo avviene anche nel suo contemporaneo Shakespeare, soprattutto in As you like it). Nella Dorotea, tale atteggiamento è esasperato, intensificato al punto che Leo Spitzer può scriverci sopra un saggio illuminante su che cosa sia la letteratura: Die Literarisierung des Lebens in Lope’s “Dorotea”, la letteraturizzazione della vita nella Dorotea di Lope, tradotto in italiano con il titolo Vita in forma di Letteratura nella Dorotea di Lope de Vega da Maria Borriello e pubblicato da Lithos, Roma, nel 2015, con una bella prefazione di Roberto Gigliucci.

Appunti di Luigi Nono sulla partitura del Prometeo

               Ora, è proprio questa capacità della scrittura di riflettere su sé stessa che affascina Luigi Nono. La sua musica non è, anch’essa, nient’altro che una musica che pensa sé stessa, una musica che esibisce nel suo procedere sé stessa, quasi illustra il modo con cui è stata costruita. A Nono ciò pare la maniera più pertinente di mostrarsi artista impegnato nei problemi del proprio tempo: la sua musica non è politica perché sposa la causa di una partito, di un’ideologia (anche!), ma perché propone il rinnovamento della società attraverso il rinnovamento del fare musica o, meglio, offrendo nella propria musica il modello di come ci si rinnova, di come si costruisce l’arte nuova, e dunque l’uomo nuovo. E, soprattutto, si mostra com’è fatto l’ascolto di questo uomo nuovo. Il cui approdo finale sarà il Prometeo, tragedia dell’ascolto. Qualsiasi tentazione realistica sarebbe, per Nono, un tradimento, perché il realismo, anche il realismo socialista, non riproduce la realtà, ma l’immagine che ci piace vedere della realtà. E Nono non cerca l’immagine della realtà, cerca il τὸ τί ἦν εἶναι, l’essenza, della realtà. In arte, l’essenza è la forma. Cercare dunque la forma di scrittura che rifletta il pensiero dell’artista sulla realtà è il compito fondamentale dell’artista, il vero compito anche del suo impegno politico. Impegno, che sarebbe tradito da una forma provvisoria, superficialmente imitativa, che non colga il nodo con cui la realtà è legata al pensiero.

               Tutto il festival è stato un’illustrazione perfetta di questo principio. Sul quale non dovremmo mai stancarci di riflettere, perché cedere anche solo su un punto, magari per ottenere più facile consenso, sarebbe tradire il compito dell’artista, che non è di sposare questa o quella causa politica, echeggiandone gli slogan propagandistici, o accarezzare l’ignavia dei lettori, degli ascoltatori, degli spettatori, proponendo loro opere immediatamente – eh già! immediatamente – comprensibili, ma compito o. meglio, funzione dell’artista è costruire – già: costruire – opere che costringano il lettore, lo spettatore, l’ascoltatore a percorrere lo stesso laborioso percorso di pensiero con cui l’artista ha costruito l’opera.
Ai concerti sono state abbinate letture delle poesie, esecuzioni di musiche andaluse scritte dallo stesso Lorca, una mostra di bellissimi quadri e incisioni di pittori amici di Nono, Tàpies, Vedova, Corneille, Mirò, in una splendida galleria ricavata dagli edifici di una bocciofila.

Nuria Schoenberg Nono

               Grazie, Nuria Schoenberg Nono. Grazie, Serena e Silvia Nono, che ci avete invitati a ripercorrere questo necessario tragitto di consapevolezza di come un artista, riflettendo sul mondo, ci restituisca poi di questo mondo, anzi di questa sua riflessione sul mondo, il pensiero con cui pensarlo.

Venezia, 16 ottobre 2019

 

Crediti fotografici © Fondazione Archivio Luigi Nono Onlus, per gentile concessione

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